La rivista The Lancet ha pubblicato una misura del «capitale umano» di 195 paesi del mondo e ha confrontato i risultati del 1990 e del 2016. La ricerca è firmata dall’Institute for Health Metrics and Evaluation, che ha base presso l’Università dello Stato di Washington a Seattle ma finanziato dalla Fondazione di Bill e Melinda Gates.

PER VALUTARE UNA RISORSA dai contorni poco definiti come il «capitale umano» di un paese, i ricercatori hanno preso in considerazione lo stato di salute, il grado di istruzione, gli apprendimenti e la longevità, misurati da un vasto numero di variabili. Sulla base di questi parametri hanno assegnato un indice a ciascun paese. Come spesso avviene in questo tipo di classifiche, i valori assoluti hanno un significato piuttosto limitato (in questo caso, è un numero che varia tra 0 e 44). È più interessante osservare la graduatoria dei vari Paesi e, soprattutto, quali scalano la classifica e quali perdono posizioni.
In testa alla classifica, secondo i dati 2016, ci sono i «soliti» paesi del nord-Europa: la Finlandia batte tutti con un indice pari a 28, mentre Islanda, Danimarca e Olanda arrivano un punto sotto. L’oriente piazza quattro paesi tra i primi sedici (Taiwan, Corea del Sud, Singapore e Giappone). A fondo classifica finiscono i paesi a sud del Sahara: Mali, Burkina-Faso, Ciad, Sudan meridionale e Niger, ultimo con 2 punti.

L’ITALIA è trentacinquesima, tra Ungheria e Slovacchia. Tra le grandi potenze, la Francia è al nono posto, la Germania al ventiquattresimo, gli Usa arrivano ventisettesimi, la Cina è quarantaquattresima e la Russia al quarantanovesimo posto. Tra i paesi emergenti, troviamo il Brasile settantunesimo, il Sudafrica centoquarantaquattresimo e l’India centocinquantottesima.
Rispetto alla situazione del 1990, l’indice complessivo è migliorato un po’ per tutti. Ma c’è chi ha fatto balzi in avanti e chi è rimasto avanza lentamente e si fa superare.
Si nota, per esempio, il crollo degli Stati Uniti. Nel 1990 erano in sesta posizione, e ne hanno dunque perse ventuno. Nel loro caso è colpa soprattutto del calo della durata dei percorsi scolastici. Non è andata molto meglio per noi, che dal venticinquesimo posto del 1990 abbiamo perso dieci posizioni: nessun indice è peggiorato, ma gli altri sono cresciuti più velocemente di noi. Discorso identico per la Grecia (quattordici posizioni in meno) e Israele, che scende dal ventottesimo al trentasettesimo posto a causa di un calo netto nel livello delle competenze matematiche e letterarie.

COLPISCE CHE IL SUDAFRICA abbia perso quindici posti a causa del livello sanitario della popolazione. Tra quelli che scalano la classifica, risalta Singapore che guadagna trenta posizioni, la Cina (venticinque), il Brasile (venti), l’Iran (diciotto), la Corea del Sud (dodici). Ma la Turchia, che guadagna cinquantanove posizioni, rappresenta forse il progresso più notevole.
Studi come questo servono a capire quali sono i fattori determinanti per la crescita economica dei vari Paesi. Il «capitale umano» infatti è strettamente correlato al Pil. Tuttavia, gli stessi autori della ricerca ammettono che tale correlazione non corrisponde a un nesso di causa ed effetto: è possibile che il capitale umano favorisca la crescita, ma è altrettanto plausibile il rapporto inverso.

SICURAMENTE, la ricerca accredita la Fondazione di Bill Gates come uno degli attori determinanti nella «narrazione» della globalizzazione, di cui il magnate è stato uno dei principali beneficiari al mondo. Complice anche il disinvestimento pubblico, la Fondazione Gates è ormai uno dei leader planetari nella cooperazione allo sviluppo nei settori della sanità e dell’istruzione. Ora ambisce a diventare pure il «termometro» della globalizzazione, prendendo il posto della Banca Mondiale o dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.