La striscia d’asfalto che scorre da Haifa a Tel Aviv è una rampa di lancio imbandita per il primo scontro tra gli sprinter. Occasioni per le ruote veloci ce ne saranno poche, in questo Giro, e questo spiega la ritrosia a partecipare degli stranieri più quotati. Manca soprattutto, non solo in corsa, ma anche in conferenza stampa, Fernando Gaviria, simpatico guascone in un gruppo telecomandato oramai pure nelle risposte ai giornalisti.

Costretto tra la Cisgiordania a Oriente (non si vede una faccia araba che sia una, in ore ed ore di diretta) ed il Mediterraneo ad Occidente, il paesaggio si sussegue come se, mi dice Angelo, si volesse far sembrare Israele la riviera romagnola.

Poco dopo la partenza il gruppo attraversa San Giovanni d’Acri, ultimo bastione crociato fino alla riconquista mamelucca, che ancora conserva il suo quartiere genovese, poi il dentello arcigno di Zikhron Ya’Aqov assegna i primi punti per la classifica degli scalatori (se li aggiudica Barbin). Quindi, da Cesarea in poi, è tutta una rincorsa verso l’ineluttabile volata.

Già capitale della provincia di Giudea, Cesarea crebbe in importanza a seguito di una delle periodiche distruzioni di Gerusalemme, quella del 135 d.c. che mise fine alla terza guerra giudaica. A capo della rivolta fu Simon Bar Kokheba, che si proclamò messia, e non fu il primo, ma neppure l’ultimo. Uno sconquasso ancor maggiore portò nell’ebraismo, a metà del XVII secolo, Sabbatai Zevi, la cui predicazione scalfì l’ordine rabbinico delle comunità ebraiche ottomane, e sembrò rendere possibile il ritorno in Palestina di masse di diseredati dalla Grecia, dai Barcani e dall’Est Europa. Perfino dopo l’apostasia imposta dal Sultano nel 1666 il nuovo credo sopravvisse, e un secolo più tardi un bizzarro seguace, Jacob Frank, ancora faceva proseliti in Polonia, allarmando l’autorità costituita.

Il finale di gara è una ridda anarchica, con tutta una serie di finisseur o aspiranti tali che tentano il colpaccio, mentre si fatica a comporre i treni che tireranno la volata. Dal caos ne esce uno sprint pulito. Il primo a mettere il naso allo scoperto è Mareczko, polacco del Garda, ma non si fa sorprendere Viviani che lo salta e vince di una bicicletta. Cambia anche la maglia rosa, giacché Rohan Dennis, ieri secondo, approfitta degli abbuoni di uno sprint a mezza corsa e si impossessa del primato. Dumoulin benedice, che domani c’è da faticare nel deserto e non è un male che ci sia altra gente a dover sudare per tenere la corsa in ordine.