«La fotografia e il cinema sono diventati i principali modelli attraverso cui vediamo noi stessi e il mondo che ci circonda. Se qualcosa non è rappresentato per immagini, non esiste. Al giorno d’oggi c’è quasi bisogno che venga girato il film perché il libro venga letto». Così ha scritto la produttrice cinematografica (nonché moglie del regista Steve McQueen) Bianca Stigter. In effetti dopo l’uscita della pellicola 12 anni schiavo diretta da McQueen è iniziata la ristampa del volume scritto in origine da Solomon Northup insieme a David Wilson e pubblicato nel 1853, un anno dopo La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe a cui è dagli autori «rispettosamente dedicato».

Il testo, poco conosciuto dal pubblico in genere (e italiano, in particolare), si trova persino nelle edicole con in copertina l’attore Chiwetel Ejofor nei panni dello schiavo; la migliore ristampa, tuttavia, è quella uscita per l’editore friulano Safarà nel febbraio scorso (Solomon Northup, 12 anni schiavo, pp.175, euro 18,50). Il volume propone una delle prime traduzioni italiane (quella di Cristina Pascotto, che ha anche curato il testo, revisionato da Elisa Marini). Questa edizione è arricchita da una breve premessa dello stesso regista Steve McQueen, da un più ampio scritto di Bianca Stigter, dalle illustrazioni originali e da tre appendici. In esse ci sono la norma (del maggio 1840) che permise la liberazione di Solomon Northup, il carteggio e le dichiarazioni che la resero possibile, l’atto dello stato della Louisiana (distretto di Avoyelles, 4 gennaio 1853) in cui si sancisce «come il suddetto Solomon abbia diritto alla propria libertà» (pp.174-175).

Negli scritti di McQueen e Stigter si ricostruisce come il regista avesse già in mente «l’idea di un uomo libero che fosse stato rapito e costretto in schiavitù, ma questo è tutto quello che avevo» (p.1) e come la moglie abbia trovato e letto il libro di Northup, suggerendolo poi a McQueen. «Raramente – scrive Bianca Stigter – ho letto un libro che avesse su di me un effetto tanto profondo come il racconto di Solomon Northup dei lunghi anni di schiavitù nel profondo Sud degli Stati Uniti (…) Mi sentivo come se stessi leggendo l’Odissea di Omero, ma anche Il codice Da Vinci di Dan Brown» (p.6). In effetti nella letteratura afroamericana questo risulta essere il solo testo che abbia il «punto di vista» di un «uomo libero / schiavo». Quando uscì nel 1853 il libro vendette ben trentamila copie ma fu ben presto dimenticato.

Ci vollero due storici della Louisiana (Sue Eakin e Joseph Logsdon) per riscoprirlo e farlo ripubblicare nel 1968; subentrò un nuovo e lungo oblio interrotto nel 2013 dal film di Steve McQueen. La Fox Searchlight Pictures ha creato un interessante sito dove si possono vedere foto dei discendenti di Solomon Northup.

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