Il problema dell’Italia, ha scritto, sono i governi di coalizione. Peggio del peggio quelli di larghe intese («non una soluzione credibile oltre un orizzonte di qualche mese»). E dev’essergli preso un colpo a vedere ieri il vertice di maggioranza con venti politici attorno al tavolo. Economista intelligente e rigoroso, chi lo conosce lo descrive sicuramente pronto all’incarico ma forse un po’ in difficoltà a passare dall’accademia alla fatica del compromesso politico. Guido Tabellini, l’ex rettore della Bocconi in corsa per il ministero dell’Economia, i governi li ha incrociati: è stato consulente di Prodi a palazzo Chigi nel ’98 e di Tremonti a via XX settembre nel 2002. Più recentemente Silvio Berlusconi aveva pensato a lui per sostituire proprio Tremonti, e di lui si era parlato tanto per il governo del suo ex professore Monti (che da presidente della Bocconi lo presentò come rettore) quanto di quello Letta. Ha trovato invece posto solo nella commissione dei saggi per le (mancate) riforme.

Di riforme si occupa spesso come opinionista del Sole24ore. È un convinto sostenitore del semipresidenzialismo. L’ha scritto anche recentemente, prendendo a modello l’interventismo del presidente della Repubblica in carica. La stima è reciproca se è vero che una forte spinta gli viene dai Napolitano. Tabellini fa il tifo per una legge elettorale iper maggioritaria che tagli fuori i piccoli partiti. È vero, riconosce, la rappresentanza ne sarebbe sacrificata. Ma, si risponde, «non esiste un sistema elettorale perfetto». Il suo campo però è la politica economica e più precisamente l’impatto che le istituzioni hanno sull’economia, dal punto di vista di un liberista convinto. Il gioco di cercarne le previsioni sbagliate sulla crisi («nel nostro paese il momento peggiore sembra essere passato», scriveva nel 2009) è facile quanto poco indicativo, gli economisti sbagliano. Più utile evidenziare come abbia continuato nel corso della crisi a suggerire ai diversi governi, e all’Europa tutta, continuità nelle politiche di rigore. È un privatizzatore convinto (privatizzerebbe anche la Rai) naturalmente per destinare, come Saccomanni, le risorse al taglio del debito. Si è espresso contro la tassazione delle rendite finanziarie – che Renzi sembra volere – ed è stato un sostenitore di tutte le riforme delle pensioni: ne vorrebbe ancora. È contrario alla patrimoniale, spinge per un’interpretazione rigida del pareggio di bilancio in Costituzione. Quel che più conta è in sintonia con il segretario Pd sul mercato del lavoro. Insiste infatti per un contratto unico di inserimento senza le garanzie dell’articolo 18: bisogna rassegnarsi al dualismo, scrive, gli outsider devono avere meno tutele di chi è già assunto. È favorevole alle gabbie salariali. Ma ha proposto un sussidio di disoccupazione universale da sostenere dirottando i finanziamenti alle imprese (e ai sindacati).

Le imprese le conosce bene: è nel cda della Cir di De Benedetti da dieci anni, da tre anche in quello Fiat. Ma è un accademico che continua a pubblicare sulle riviste più importanti. La sua produzione scientifica è di primo livello, tanto che in Bocconi si registrano dubbi: se gli è venuta voglia di mettere in pratica le sue idee di policy, vuole farlo con un governo così malmesso?