Aumento dei costi di produzione, diminuzione delle vendite su base nazionale e presenza ormai di un mercato globale che fa schizzare alle stelle la concorrenza. Sono i due fattori usati per spiegare le concentrazioni monopolistiche nelle economie capitalistiche. E questo non vale solo per l’acciaio o le automobili, ma anche per la telefonia, l’informatica, la farmaceutica. E per l’editoria. Sono infatti due decenni che a livello mondiale vi è un susseguirsi di notizie di gruppi editoriali che acquistano, si fondono con antichi concorrenti «locali» o con case editrici al di fuori dei confini nazionali. Se questo è evidente in Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Spagna e, in misura minore, grazie alle politiche statali di sostegno al settore, Francia, in Italia, la concentrazione monopolistica ha subito una repentina accelerazione. Ha iniziato, in punta di piedi, il gruppo Mauri Spagnol, all’interno di uno modello che manteneva, ridefinendolo, il profilo editoriale dei differenti marchi. Una organizzazione «complessiva» che ha fatto diventare il gruppo una «testa di serie» dell’industria editoriale, facendo leva su una forte differenziazione dell’offerta editoriale, al fine di «catturare» pubblici diversi. Dunque un approccio non «generalista» che ha funzionato.

Dal canto loro altri gruppi editoriali hanno acquisito marchi storici, ma mantenendo inalterati strutture, decisioni e centri di produzione. Tutto ciò per evitare un altro «scandalo» simile a quello rappresentato dall’acquisizione di Einaudi da parte di un gruppo finanziario sul quale si stagliava l’ombra inquietante di Silvio Berlusconi. Movimenti carsici, tuttavia, niente di tellurico fino all’annuncio di acquisizione del gruppo Rcs libri da parte di Mondadori. Per questa operazione vale il vecchio adagio della quantità che si trasforma in perdita di qualità. Per la prima volta in Italia si è parlato di monopolio, e di cancellazione della bibliodiversità. Di rischi per la democrazia. Un crescendo di prese di posizione culminate dall’abbandono di Elisabetta Sgarbi di Bompiani, che ha fondato la nuova casa editrice «La nave di Teseo» insieme ad autori «pesanti» della stessa Bompiani. Dal canto loro i nuovi padroni – Mondadori – hanno fatto di tutto per rassicurare che nulla sarebbe cambiato.

L’autonomia di Bompiani non è mai stata in discussione, hanno mandato a dire. Sta di fatto che l’Authority per la concorrenza ha aperto un fascicolo sulla nascita del nuovo gruppo editoriale, chiamato Mondazzoli, quasi fosse un terrificante animale della mitologia. L’intervento dell’Authority era un fatto dovuto, hanno mandato a dire i custodi delle regole della concorrenza, anche se il primo comunicato che hanno diffuso per comunicare che si prendevano più di un mese per studiare l’affaire non lascia molti dubbi. Che si tratti di una posizione monopolistica in molti settori, dal libro cartaceo all’e-book alla distribuzione, l’istituto sulla concorrenza non ha molti dubbi. Ed è stato forse per questo che da Mondadori-Rizzoli sono filtrate voci sulla rinuncia a Marsilio e a Bompiani, da mettere in vendita a chi può tutelare il buon nome dei due marchi. E se per la casa editrice veneziana, il nome più accreditato è stato Cesare De Michelis, per Bompiani il nome ricorrente era proprio Elisabetta Sgarbi. A confermare questi boatos ci ha pensato proprio l’amministratore delegato di Mondadori Ernesto Mauri negli stessi giorni del lutto che ha colpito la cultura italiana per la morte di Umberto Eco.

L’authority continua a mantenere il riserbo, ma c’è da scommettere che, se Mondadori cederà Marsilio e Bompiani, l’esito della procedura sarà favorevole all’acquisto di Rcs libri da parte di Mondadori. Questo non fermerà sicuramente la concentrazione monopolista; la cessione di Marsilio e Bompiani sarebbe infatti solo un «cadeau» per chi guarda criticamente alla riduzione della bibliodiversità. Al di là di come andrà a finire, «Mondazzoli» spazzerà via quel virtuoso (per le grandi case editrice) dispositivo che assegnava agli indipendenti lo scouting di nuovi autori, che una volta superata una soglia minima di vendite con i «minori» sarebbero entrati nell’orbita delle «major». Il monopolio nell’industria editoriale non tollera infatti che qualcosa possa accadere al di fuori del «campo» recintato con diritti di proprietà intellettuale, concentrazione della distribuzione e delle vendite. Vuol vivere di rendita. Ma così facendo non ferma l’emorragia di vendite. Si crea un vuoto di iniziativa editoriale. Sarebbe il caso che gli «indipendenti» lo occupassero, mettendo tra parentesi angusti interessi di «bottega».