Si arriva a un’età, e a una condizione sociale/accademica, per la quale si può non soltanto dire tutto ma anche decidere con libertà come dire quel tutto che si vuole comunicare. «Ora sono più sicuro del fatto mio: non aspettatevi mai più una ‘concettualizzazione’ espositiva, una ‘spiegazione logico-razionale’ (e neppure il suo contrario, beninteso). Ora che sei libero (sei ‘libero?’) devi volare, diceva Nietzsche, e devi cantare, per riscattare la volontà di verità e l’amore del sapere dalla ristrettezza e dalla schiavitù delle sue origini. Hai bisogno di ‘nuove’ parole, di parole luminose» (Carlo Sini, Idioma. La cura del discorso, Jaca Book, pp. 262, euro 19).

PERVENUTA a questa radicale emancipazione, la riflessione di Sini è da tempo impegnata a descrivere il mondo a partire da ciò che dà vita e senso anche a questo libro: il linguaggio. Il quale non è ovviamente uno strumento, qualcosa sì di molto utile ma accessorio che si aggiunge al pensare e al vivere; non è una funzione che si esercita; non è una capacità che si possiede ma «è lui che discorre». Il linguaggio è «il mio servo padrone», senza il quale non potrei fare nulla per la semplice ragione che senza di esso nulla potrei pensare. I discorsi sono «il liquido amniotico dell’anima», e come tali possono diventare e diventano anche oppio e veleno ma senza di essi, senza la loro trasmissione da persona a persona e di epoca in epoca, la nostra specie semplicemente non esisterebbe.

CON LA DISPIEGATA LIBERTÀ teoretica che una matura condizione linguistica e sociale gli regala, Sini può esercitare una critica cortese ma acuminata ad alcuni dei dogmi che la società dello spettacolo da tempo coltiva: dall’anglofilia linguistica, «segno eloquente di un diffuso provincialismo incolto», agli inganni sociali di ogni pedagogia che finge di rendere semplice il complesso; dalle superstizioni dello scientismo (non della scienza), che pretende di spiegare ciò che neppure comprende, ai dualismi tra materia e spirito che imperterriti sopravvivono a ogni sapere della complessità.
Tutto questo, e molto altro, si fonda sulla consapevolezza che ogni gesto, ogni oggetto, ogni percezione, ogni credenza, ogni progetto, ogni parola affondano e si generano nei saperi dai quali germina la vita individuale e collettiva, nei saperi che sono la vita individuale e collettiva. Saperi che vivono, accadono e si distendono nella lingua la quale è radice, dimora, potenza del mondo. Un solo ma fondamentale esempio: «è il cervello a essere ‘contenuto’ nel linguaggio (come del resto ogni altra ‘cosa’) e non il linguaggio nel cervello: modo di pensare che parla a vanvera».

DISPOSITIVO CENTRALE del pensiero di Sini è il foglio/mondo, che in questo libro sembra diventare l’idioma/cosmo. Perché «in ogni parlante, checché dica, si cela il cammino attrattivo delle parole e l’infinita incidenza di sensi millenari e di millenarie memorie».
L’itinerario delle parole dentro altre parole, dei tornanti linguistici dentro la strada del linguaggio, appare in queste pagine talmente naturale, immediato e insieme distante da disegnare la malinconia di un ironico crepuscolo.