Un fronte unico, nell’ideologia e gli obiettivi, dalla Mesopotamia alla Nigeria. L’alleanza tra Stato Islamico e Boko Haram sorprende pochi, ma scuote due continenti. Vicini nella propaganda, ora i due gruppi – protagonisti di crimini efferati in Africa e Medio Oriente – potrebbero lavorare insieme.

La risposta dell’altro fronte, quello globale della lotta al terrorismo, arriva a stretto giro dall’audio pubblicato sabato da Boko Haram, nel quale il leader Shekau dichiara fedeltà al califfo al-Baghdadi: la guerra si fa totale. Ieri centinaia di soldati di Ciad e Niger sono stati schierati in un’offensiva via terra e via aria a nord della Nigeria, decisa già venerdì da un meeting dell’Unione Africana. L’operazione, fanno sapere i due eserciti, ha l’obiettivo di «polverizzare il gruppo». Secondo testimoni i jet e l’artiglieria hanno colpito gli islamisti nel distretto nigeriano di Damasak, roccaforte di Boko Haram, e strappato al loro controllo una trentina di villaggi.

«L’alleanza ha senso per entrambi i gruppi – spiega alla Cnn Jacob Zenn, esperto del gruppo africano – Boko Haram otterrà maggiore legittimazione e questo lo aiuterà nel reclutamento e il finanziamento nell’Africa occidentale. Aiuterà anche la propaganda dell’Isis perché prima Boko Haram era una sorta di outsider della comunità jihadista globale: ora l’Isis ottiene legittimità internazionale come califfato globale».

L’alleanza non sorprende gli analisti («Era solo questione di tempo», aggiunge Matthew Henman, manager del Centro per il Terrorismo Ihs Jane), ma stupisce la Cia che riteneva l’unione difficile da realizzare, viste le attitudini razziste dello Stato Islamico verso i neri. Eppure, al di là della folle interpretazione della Shari’a, in comune i due gruppi hanno la strategia militare: raid nei villaggi, rapimenti e omicidi di massa, attacchi terroristici ai simboli dell’apostasia, che siano cristiani, sciiti o sunniti non affiliati.

In comune hanno anche l’annientamento dei confini nazionali. Se l’Isis dall’Iraq si è presto allargato a Siria, Libano e Libia, Boko Haram dalla Nigeria ha portato a segno azioni in Camerun e Niger. A scapito di al-Qaeda, precedente riferimento ideologico del gruppo africano, ora abbandonato perché – si sa – il califfato di al-Baghdadi garantisce maggiore visibilità e quindi maggiore potere di attrazione di nuovi adepti, di denaro e di know-how. Resta da vedere se Isis e Boko Haram saranno in grado di condividere miliziani, armi e finanziamenti, ovvero di dare vita ad una rete capace di superare i confini non solo nazionali ma continentali, creando non pochi grattacapi alle intelligence occidentali già incapaci di controllare lo spostamento di miliziani dall’Europa al Medio Oriente.

L’Isis distrugge Khorsabad, Baghdad accusa gli Usa

La capacità di gestire i porosi confini mediorientali dell’Isis è ben nota a Siria e Iraq. Proprio l’Iraq ieri è stato costretto ad assistere all’ennesima distruzione: dopo le antiche città assire di Hatra e Nimrud, i bulldozer dell’Isis hanno colpito il sito archeologico di Khorsabad, 20 km da Mosul. Famoso per le mura in pietra e le sette porte e noto con il nome di Dur Sharukkin, risale al 721 a.C., fondato da re Sargon II come nuova capitale assira.

Stavolta, raccontano i residenti, i miliziani avrebbero distrutto solo alcuni reperti e rubato il resto, un’operazione che in passato ha garantito consistenti entrate finanziarie, grazie al contrabbando internazionale di opere d’arte.

Sul tavolo finisce l’operato della coalizione. Il governo di Baghdad ha di nuovo accusato gli Stati uniti di eccessiva lentezza nel frenare l’Isis: «Il nostro spazio aereo non è nelle nostre mani, ma nelle loro – ha detto il ministro delle Antichità – Chiedo alla coalizione internazionale di colpire i terroristi dovunque siano». E mentre ringrazia l’Iran, considerato l’unico paese realmente impegnato sul campo, l’esecutivo di al-Abadi ha paventato l’idea di bombardare i miliziani nei siti archeologici da loro controllati, almeno 1.800. Bombe sui bulldozer, ma anche sui reperti.

Usa: «Pazienza strategica». Avanzano i kurdi

La reazione Usa è arrivata per bocca del capo di Stato maggiore Dempsey: ci vuole «pazienza strategica», ha detto da Baghdad dove è arrivato per incontrare i vertici militari iracheni, perché «bombardare a tappeto l’Iraq non è la risposta». Forse è la domanda a essere sbagliata: Washington non ha mai fatto autocritica per aver trascinato il paese nel guado della mancata ricostruzione di infrastrutture e istituzioni e nella rete dei settarismi religiosi.

Ad avanzare sono le truppe irachene. Ieri i peshmerga hanno attaccato gli islamisti presenti a Kirkuk, città ricca di petrolio finita sotto il controllo di Irbil ad agosto. L’obiettivo era liberare la comunità dal pericolo islamista, assumendo il controllo dei villaggi intorno. Continua anche l’offensiva governativa su Tikrit con i soldati di Baghdad che hanno rioccupato la città di al-Alam.

Il cambio di strategia delle opposizioni siriane

Continua anche il nuovo piano delle opposizioni moderate siriane che dopo aver rinunciato alla testa di Assad come pre-condizione al dialogo, ora discutono con gli alleati arabi e occidentali del futuro. Ieri la Coalizione Nazionale era al Cairo dove ha incontrato il ministro degli Esteri egiziano Shoukry, in preparazione del meeting congiunto delle opposizioni che si terrà ad aprile.