Scrivere di Giambattista Marongiu, ora che se n’è andato all’età di 67 anni dopo una lunga battaglia contro un tumore, significa tornare con la memoria a stagioni che non sono mai del tutto passate, a un tempo che sul presente continua a proiettare il suo profilo.

Professore di Scienze politiche a Padova, militante di Potere operaio, Giambattista Marongiu fu coinvolto nell’inchiesta partita il 17 aprile 1979 che portò in carcere ventidue dirigenti di Autonomia operaia. Nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pubblico ministero Pietro Calogero, dodici degli arrestati erano accusati «di aver organizzato e diretto un’associazione denominata Brigate rosse al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato»; gli altri dieci di avere organizzato e diretto Potere operaio e Autonomia operaia «al fine di sovvertire violentemente gli ordinamenti costituiti dello Stato». Giambattista Marongiu, che era in questo secondo gruppo di imputati, sfuggì alla retata e riuscì a riparare in Francia, dove la legislazione voluta dall’allora presidente François Mitterrand consentiva alla diaspora politica italiana della fase più acuta delle lotte degli anni Settanta di trovare asilo politico. Quale fosse il segno politico di quell’inchiesta si vide con chiarezza da subito. Per quanto riguarda Giambattista Marongiu, lui da quell’incubo assurdo uscì solo diciannove anni dopo, quando fu riconosciuta la totale infondatezza delle accuse che gli venivano mosse.

In Francia diventò subito per tutti JiBi. Nel 1982 cominciò a lavorare per Libération, all’inizio come addetto al montaggio delle pagine sui tavoli luminosi della tipografia, poi come segretario di redazione e infine come redattore dell’inserto Libri, che andava in edicola ogni giovedì. Incaricato di un corso di sociologia all’università Parigi-VIII, JiBi riprese i suoi interessi di studio: oltre la sociologia, le scienze politiche, la storia, la filosofia, la letteratura. Divenne una delle firme più lette prima dell’inserto del giovedì e poi del quotidiano fondato da Serge July. «Giambattista – ha scritto lunedì Robert Maggiori – era la personificazione della gentilezza, ma era anche pronto a infiammarsi per difendere un’idea. La sua preparazione, in scienze umane ma anche in storia (specialmente medievale) e in letteratura, era impressionante. L’amicizia era per lui una virtù sacra e niente gli faceva più piacere che condividere un buon pasto o un buon bicchiere di vino, raccontando qualche storia divertente o commentando l’ultima vittoria della Juventus».

Nato a Sassari, JiBi in Sardegna tornava spesso. Aveva conservato amicizie e affetti. Nella sua città natale, dopo la cremazione ieri al Père-Lachaise, le sue ceneri torneranno oggi, portate dalla sua compagna Paola Pilisio, che in Sardegna è tra i coordinatori di un movimento di base che si batte contro la devastazione ambientale dell’area attorno al petrolchimico di Porto Torres (un posto rispetto al quale persino il caso Ilva impallidisce). Per una vita Giambattista Marongiu ha speso le sue energie in un lavoro intellettuale e politico rigoroso intorno alla contraddizione che segna tutta la modernità, quella tra capitale e lavoro. È questo, insieme con la sua gentilezza, il lascito prezioso che ci consegna.