I barbuti dell’Isis, lo Stato islamico che opera in Siria e in Iraq, sono ormai ovunque. Analisti e commentatori provano a rintracciarne genesi, potenzialità militari, serbatoi finanziari; i servizi segreti li cercano, per farli fuori o per aiutarli; i giornalisti ne scappano o li inseguono; i governi europei li temono. Qualcuno finisce per vederli anche dove non sono. E’ successo a John Simpson, World Affairs editor di Bbc news, che ieri ha pubblicato un articolo dal titolo “I militanti afghani dell’Hezb-e-Islami ‘potrebbero unirsi allo Stato islamico”. Aspettavamo solo questa: la notizia che anche i Talebani sostengono lo Stato islamico. L’articolo rimbalza sui siti di informazione e circola sui social network. Ma è una “bufala”. Perché a parlare è un solo comandante dell’Hezb-e-Islami, un certo Mirwais, incontrato nei dintorni di Pul-e-Khumri, capoluogo della provincia afghana di Baghlan. Il comandante sostiene che lui e i suoi uomini abbiano dei legami con i membri dei Daish (sigla in arabo dello Stato islamico), dice di essere pronto ad “annunciare loro lealtà” se dimostreranno di “soddisfare i requisiti per un vero Califfato”. Di quali legami siano in corso, non è dato sapere; di quali requisiti si tratta, neanche. John Simpson non chiede, non indaga, non insiste, per lui la generica affermazione di un singolo comandante è sufficiente per scrivere che “per la prima volta” gli insorti afghani e in particolare i Talebani “stanno pensando di unirsi ai gruppi lontani dai propri confini”.

I fatti raccontano però un’altra storia: quel comandante rappresenta se stesso, non l’Hezb-e-Islami, il gruppo guidato da Gulbuddin Hekmatyar; il fronte talebano ha un’agenda diversa dall’Hezb-e-Islami, con cui condivide soltanto l’avversione per le truppe d’occupazione; i Talebani hanno già preso le distanze dall’Isis e in particolare da Abu Bakr al Baghdadi, ritenuto un usurpatore del titolo di “califfo”; la leadership dei “turbanti neri” non cerca alleanze jihadiste internazionali, ma al contrario prova da anni a smarcarsi dall’ipoteca dell’alleanza tattica avuta a suo tempo con al Qaeda, sempre mal sopportata. I Talebani pensano al proprio orticello, all’Afghanistan, non alla Siria e all’Iraq: aspettano la buona occasione per dare una spallata al nuovo governo di Kabul, non appena se ne andranno le truppe straniere. E non appena verrà nominato il successore di Karzai, il presidente uscente.