Se la racconti così, più che una storia sembra una canzone. Di Paolo Conte. C’è un cortile di oratorio e un prete che indossa una tonaca lunga e nera. Dal cortile salgono le urla dei ragazzini figli di operai e di silenziosi impiegati. Volano i palloni e le spinte, insieme a qualche pugno, innocuo come le parolacce dette sottovoce per non commettere peccato. Gli anni sono quelli Venti del secolo scorso, il fascismo sta affilando le sue armi e tra poco le tirerà fuori. I ragazzini nulla ne sanno; nulla ne sanno il tedesco Broto Watcher, l’inglese Harold Sea Thornton e un operaio francese della Citroen rimasto anonimo, così affermano Andrea Angiolino e Beniamino Sidoti nel Dizionario dei giochi pubblicato da Zanichelli. Secondo fonti e campanilismi diversi, uno dei tre sarebbe l’inventore di quello che da noi si chiamerà calcio balilla. Nel 1922, Thornton deposita il brevetto di “un apparato per giocare un gioco di football”. Lo stesso farà, nel 1937, lo spagnolo Alejandro Finisterre. Somiglia alla scoperta dell’America: i Vichinghi, Cristotoforo Colombo, Amerigo Vespucci? Non importa. Lo stesso si può dire per quel gioco che vede undici omini blu e undici omini rossi messi in fila su stecche di metallo a disputarsi una pallina bianca cercando il goal nella porta avversaria. Lo stadio è un parallelepipedo in legno montato su zampe; il campo un rettangolo verde protetto da una spessa lastra di vetro, le porte due buche in cui la pallina si infila con un rumore secco e ovattato. Dalla sua invenzione a oggi, l’apparato per giocare un gioco di football è dilagato in Europa e poi ha oltrepassato confini lontani che si chiamano Australia, Stati Uniti, Emirati Arabi, Indonesia… La nostra storia ha bisogno, però, di tornare all’oratorio. Siamo, adesso, tra il 1932 e il 1936. Nel cortile pochi ragazzini, sul cemento le porte segnate con le cartelle di scuola l’una sull’altra non ci sono più, non si vede “neanche un prete per chiacchierar”, cantandola di nuovo con Paolo Conte. Invece il prete in tonaca lunga e nera c’è ancora, ma adesso vigila dentro una stanza. Stessi spintoni, bisticci, urla, parolacce sottovoce, resse, intorno alla nuova magia che ha spodestato, almeno per il momento, il pallone di cuoio. La parrocchia l’ha ricevuta in dono da un devoto generoso e danaroso, oppure l’ha acquistata attingendo alle sue magre casse. Perchè se un gioco serve a mietere piccoli devoti, allora i soldi sono soldi ben spesi. La nuova magia, il gioco, si chiama calcio balilla. Fa sognare e segnare subito. Lo sferragliare delle stecche e i rimbalzi della pallina non conoscono sosta, goal è il grido che sale fino al soffitto della stanza, il sudore scende sulla fronte dei giocatori anche in inverno. Chissà quante volte, nel 1936, gli omini azzurri hanno ricevuto il battesimo di Baldo, Locatelli, Gabriotti, Rava, Frossi…. i calciatori della Nazionale di Vittorio Pozzo che ha appena vinto le Olimpiadi a Berlino e, con altre formazioni allenate da Pozzo, hanno trionfato ai Mondiali del 1934, facendo il bis quattro anni dopo. I loro avversari nel parallelepipedo vengono scelti tra i più antipatici, uno a caso l’undici di Oltralpe, o tra i più forti, già allora il Brasile. Il fascismo, nato in un mare di ambiguità, tenta di accaparrarsi il copywright del nome, lo stesso delle sue legioni di adolescenti. È una panzana. Balilla fa riferimento allo pseudonimo di Giovan Battista Perasso, patriota genovese che il 5 dicembre del 1746 incitò alla rivolta contro gli Asburgo lanciando il grido ‘Che l’inse?’. Cominciamo? In dialetto ligure, da allora, vuol dire semplicemente ragazzino.

Arriva la seconda Grande Guerra, che tuttavia non ferma la popolarità dell’apparato per giocare un gioco di football. Almeno così parrebbe guardando al fatto che, nel 1947, una manciata di mesi dopo la fine del conflitto, Marcel Zosso da Marsiglia inizia a produrre il calcio balilla a livello industriale. È il 1954 quando, ad Alessandria, viene fondata la Garlando, tuttora leader mondiale di settore. Garlando, pur con il dovuto rispetto nei confronti degli oratori, fa entrare i suoi calcio balilla dentro i bar, trasformandoli in arene di sfide dove il premio finale è una coca cola, una gazzosa, un bicchiere di vino. Quando l’Italia si sveglia al botto del boom economico, ecco puntuale lo stadio in miniatura della Garlando nei campeggi, accanto ai chioschi di bibite e panini sulle spiagge, sotto le frasche degli stabilimenti balneari. Giovani aspiranti sosia di Maurizio Arena, costume da bagno attillato e galeotto, petto in fuori, sorriso assassino, rubano gli sguardi di signorine finte biondo platino o brune veraci che azzardano il primo bikini. Chi non crede alla teoria di Giambattista Vico sui corsi e ricorsi della storia, dovrà fare ammenda almeno nel caso del calcio balilla e alla luce dei ricordi di Claudio Stella, classe 1972, impiegato tecnico, considerato dagli amici e non solo un virtuoso degli omini «La mia passione è cominciata quando ero piccolo e come tanti ragazzi frequentavo l’oratorio. Partite, sfide, tornei, che proseguivano nei campeggi al mare». Aggiunge, orgoglioso, Claudio «E molto spesso portavo a casa la vittoria». Sguardo e sorriso sornioni, Stella non nasconde l’utilizzo delle partite a fini amorosi «Posso confessare qualche conquista grazie alla vittoria in un torneo. Chi vinceva era visto dalle ragazze con occhi diversi, il cosiddetto aggancio diventava più facile». Nei bar di città, affrontarsi rimane competizione allo stato puro. Annota Claudio con rimpianto «Purtroppo i bar dove trovi un calcio balilla ad aspettarti sono sempre più rari. Tant’è che per potermi esercitare me ne sono comprato uno. Ma se trovo il bar giusto, allora mi fiondo a giocare, chiamo qualche avventore per una partitina, e dopo si continua a chiacchierare. Di calcio balilla, ovviamente». Mentre giochi, a cosa pensi, che sensazioni provi? «Penso alla partita e basta. C’è la ricerca del colpo, del goal fatto bene. È una disciplina che aiuta sfogarsi. Con alcuni amici mettiamo su delle sessioni di ore e ore. Gocare per tanto tempo richiede uno sforzo quasi simile a una vera partita di calcio. Ogni volta finiamo stremati e felici, perché il calcio balilla è aggregazione, è aperto a tutti, non ha limiti di fisico e di età, perdere non rappresenta un dramma così grande». Un gioco democratico, insomma. Il sorriso di Claudio, da sornione diventa convinto.

Il terzo capitolo della storia induce a pensare che il Piemonte sia stato eletto, per qualche disegno del destino, patria del calcio balilla. Sul fronte industriale i Garlando di Alessandria, su quello agonistico la FICB, Federazione Italiana Calcio Balilla, con sede a Feletto, nel Canavese, trenta chilometri da Torino. Se il paese lo vai a cercare su Wikipedia, alla voce Cittadini illustri trovi Ramona Dell’Abate, già conduttrice televisiva, e non Ragona Massimo, che della FICB è presidente. Una lacuna, amici di WP. Cui poniamo doveroso rimedio. Perdoni la domanda, Massimo: come mai proprio Feletto nel ruolo della Coverciano del calcio balilla agonistico? «Io sono nato qui, e il Centro Federale, dal 1995, anno di nascita della FICB, al 2008, è stato il pub di famiglia. Nel 2008 abbiamo chiuso l’attività, conferendo un aspetto ufficiale alla sede. Oggi il mio unico, e difficile, lavoro è quello di presidente. Dico difficile perché il CONI non ci ha mai riconosciuti. Quindi non percepiamo da questo organismo alcun finanziamento. Ciò comporta che una parte del nostro tempo sia dedicata ad attività di marketing e iniziative commerciali abbinate, in grado di garantirci la sopravvivenza. Faccio un esempio. I mondiali 2015 a Torino sono costati circa cento/centoventimila euro. Il bilancio definitivo dice che ci abbiamo rimesso fra i trenta e i quarantamila euro, nonostante avessimo sponsor tra i costruttori di calcio balilla, le aziende di abbigliamento sportivo e come main sponsor, dal 2003, il Casino di Saint Vincent dove a novembre si disputa ogni anno la Lega a squadre. Attenzione: parliamo di cifre irrisorie, cui si aggiungono le percentuali che arrivano dalle società di noleggio». I Mondiali di Torino portano a chiederle di raccontarci cosa significhi, oggi, calcio balilla agonistico «La FICB raduna una novantina di associazioni sportive dilettantistiche, affiliate agli Enti di Promozione Sportiva. I tesserati sono circa quattordicimila, tremila i giocatori che si contendono il ranking nazionale e partecipano in Italia e all’estero ai vari campionati internazionali. Le nazionali italiane sono divise in quattro categorie di settore per età: juniores under 18, uomini, donne e veterani over 50. Tutti si autofinanziano, salvo i partecipanti alla Lega a squadre, che vede in gara otto elementi di varie città italiane, sponsorizzati da privati o dalle associazioni. Un migliaio di giocatori per un centinaio di squadre appartenenti alle Leghe di Serie A, B e C». Parliamo di cifre a livello mondiale «Le nazioni affiliate alla International Soccer Table Federation sono sessantatre, di tutti i continenti. La più rappresentata in termini numerici è l’Italia, poi arrivano Germania, Francia, Belgio, Stati Uniti. Italia a parte, il numero dei frequentatori, cioè di coloro che partecipano fuori dal ruolo agonistico ufficiale alle varie manifestazioni, si aggira intorno al milione di persone nel mondo. Ci metta altri centomila italiani. Ma se dovessimo registrare e tesserare tutti coloro che presenziano ai meeting sulle spiagge e nei centri commerciali, le cifre sarebbero ben superiori». Ragona, come si diventa un buon giocatore di calcio balilla e che requisiti bisogna avere? «Le doti fisiche non servono. Tra i nostri giocatori ci sono persone che hanno ottantadue anni, altri che pesano quaranta chili e altri ancora centotrenta. Quel che conta è la passione e la voglia di applicarsi. Un campione si forma in un paio di anni, nel giro di altri due può scalare la classifica e arrivare molto in alto. Parlando di qualità, in attacco le donne sono molto più brave degli uomini. È un fatto statistico, non saprei spiegarle il motivo». Vince chi svuota per primo il marcapunti della propria squadra. Non va propriamente così. Le regole spiegate da Massimo spalancano scenari competitivi tanto allettanti quanto sconosciuti a chi il calcio balilla lo pratica modestamente in proprio «La tipologia del gioco a squadre prevede due tempi da quattro e minuti e mezzo, più eventuali time out chiesti dall’arbitro o dagli atleti, per un massimo di quindici minuti. Nei campionati a coppie o individuali si va a numero di goal, da sei in fase di qualifica a otto in finale. E in finale una partita può durare anche mezz’ora, dipende dal livello di bravura e dalla specialità». Specialità, un termine che richiama, sempre in ambito amatoriale, l’accordo preso prima di buttare la palla sul vetro del campo: ‘Giochiamo alla ferma o alla vola?’. Spiega il presidente «Solo l’Italia gioca nella specialità ‘al volo’, il resto del mondo usa i ganci, come si faceva negli anni ’60. In occasione delle gare internazionali la FICB si confronta con tutte e due le specialità, più una terza, la tradizionale, che permette il palleggio sulla sponda a precedere il tiro e un possesso palla di dieci secondi».

Presidente, due domande finali. La prima: riesce a tracciare un profilo sociale del giocatore di calcio balilla? «In passato la distinzione era abbastanza netta. I figli di chi stava bene economicamente frequentavano i bar e giocavano a biliardo, i figli degli operai frequentavano gli oratori e giocavano a calcio balilla. Oggi le cose stanno cambiando. Il riconoscimento, nei fatti, che la nostra è una pratica sportiva, attira ingegneri, medici, avvocati, professionisti». Perché, secondo lei, il calcio balilla è un gioco intramontabile? «Direi che rappresenta l’alter ego del calcio, è più facile da praticare, non pone limiti anche a chi è su una carrozzina o avanti con l’età. Poi è lo sport meno costoso che c’è, davvero popolare, subito divertente. Mi dica lei quanto ci vuole prima di potersi divertire giocando a tennis o a ping pong. Agli inizi la palla o la pallina non vanno mai dall’altra parte. Nel calcio balilla succede dopo cinque minuti». Succede che nel 2014, in Avrai ragione tu, Caparezza canti ‘Dicono che gli omini del calcio balilla/ a testa in giù non vanno bene’, Certo che non vanno bene. Gli omini del calcio balilla vanno sempre a testa alta, hanno viso abbozzato e impassibile, sono tutti gambe e niente braccia, indossano l’eterno vestito rosso, o l’eterno vestito blu. E quando, sul filo della stecca, fanno la giravolta, si preparano al tiro imprendibile, negano un goal che sembrava cosa certa, sparano bolidi da fondo campo, allora un videogame diventa al confronto noia assoluta, noia mortale.

BOX Cinema

Un contributo cinematografico all’immortalità del calcio balilla lo ha dato, lo scorso anno, il film di animazione Gool!, dell’argentino Juan José Campanella. Tratto dal racconto Memorie di un’ala destra, di Roberto Fontanarrosa, il film racconta del timido adolescente Amadeo che, dotato di un fisico troppo gracile per giocare a pallone, diventa il campione di calcio balilla del paese. Un giorno, Laura, la ragazza di cui è innamorato, gli chiede di sfidare il bullo Grosso. E Amedeo lo sconfigge. Anni dopo, Grosso ritorna, deciso a comprarsi il paese e a distruggere il calcio balilla della sua disfatta. Ma i ventidue omini prendono vita, si liberano dalla stecca metallica e si alleano con Amadeo. Risultato? Grosso dovrà registrare la sconfitta numero due. Decisamente bello e spettacolare sul piano formale, Gool assume il ruolo di una metafora del lavoro di squadra, della passione che rimedia alle ingenuità, di una ricerca di ciò che è positivo, non solo davanti a un calcio balilla ma nel corso della vita. Campanella, nel 2010, ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero con il lungometraggio Il segreto dei suoi occhi (l. d. s.)