È interessante chiedersi come mai l’India non abbia mai espresso una squadra, un movimento calcistico o anche solo qualche calciatore, all’altezza delle proprie dimensioni , oltre una miliardo di persone, in un paese fortemente britannizzato.
Certo, il cricket si dirà, ma si gioca a calcio, in India, da prima che un pallone rotolasse in Italia, l’origine è la stessa: ce lo portarono gli inglesi. L’esercito qui, a differenza di Genova dove furono i marinai e i lavoratori delle navi carbonifere battenti bandiera di Sua Maestà a introdurre il nuovo gioco.

Questo influì inizialmente sulla diffusione e lo sviluppo del gioco che, in India, rimase per lungo tempo appannaggio di circoli ristretti e chiusi.
Il primo torneo calcistico disputato in India fu la Durand Cup nel 1888, dieci anni prima del nostro primo campionato e stesso anno in cui prese il via quello inglese, era riservato inizialmente ai vari reggimenti dell’esercito britannico di stanza in India.

Si disputa ancora e, sebbene possa essere in qualche modo considerata l’equivalente indiano della FA Cup inglese, non è mai veramente uscita dal guscio entro il quale nacque e si sviluppò. Non ha mai costituito perciò il mezzo per ottenere proseliti.
Approssimativamente si calcola che a fine ’800 fossero 200mila i sudditi di Sua Maestà residenti a Calcutta, allora capitale dell’India Britannica. Una presenza notevole che rese possibile la fondazione di circoli sportivi e dove, già nel 1893, vide la luce la Indian Football Association che si affiliò alla FA inglese.

Essendo la società indiana, almeno per l’80% della popolazione di fede induista, divisa in caste, lo sport in generale rimase materia per le classi alte. Il rango dei fondatori e dei membri appartenenti ai club formati da indigeni divenne così elemento essenziale dei club stessi. Il non potersi mescolare tra caste diverse non permise mai di allargare la partecipazione ai club.
È chiaro quindi che la diffusione del gioco in India sia stata, almeno fino al 1950, anno dell’abolizione ufficiale delle caste, ‘orizzontale’, invece che ‘verticale’; con i club chiusi dal di dentro senza nessuna possibilità di accesso per individui che non appartenessero alla stessa casta.

Se ne deduce che, a differenza della società occidentale, britannica in particolare, dove il calcio ha fornito, dall’introduzione del professionismo in avanti, un’occasione di riscatto sociale, in India è rimasto sempre un passatempo per chi poteva permettersi di praticarlo e mantenere così un certo prestigio presso i propri pari rango e i colonizzatori.
Un primo tentativo di formare una rappresentativa dell’India ci fu già nel 1924 e nel 1937 fu formata la All Indian Football Federation.

La pietra angolare dal calcio Indiano rimane senz’altro l’Olimpiade londinese del 1948, il primo torneo di rilevanza internazionale al quale partecipò.
Sorteggiati nell’incontro degli ottavi di finale, perso 2-1 contro la Francia, i giocatori indiani si presentarono in campo scalzi.
La stampa britannica li elesse a propri indiscussi beniamini ma, in un’ottica di valutazione del movimento calcistico indiano e, specificatamente in relazione alla domanda ‘come mai non sono mai stati forti?’, la questione delle scarpe non può essere lasciata andare.

Se veramente giocarono scalzi, o al massimo con piedi e caviglie bendati fino al 1950, è chiaro che l’evoluzione del calcio indiano fu molto diversa da quella del resto del mondo e certamente non altrettanto competitiva.
L’India si qualificherà poi a tre Olimpiadi consecutive cogliendo il suo miglior risultato di sempre nel ’56 a Melbourne, un quarto posto di tutto rispetto.

Dal ’52 accettarono di indossare le scarpe e dopo l’Olimpiade del ’60 iniziò il declino. Il calcio rimaneva uno sport gestito come un gentlemen club, dominato da Calcutta, senza un campionato nazionale e con un’attività frammentata e discontinua. Le tre competizioni nazionali, Durand Cup, IFA Shield e Santosh Cup con formula ad eliminazione diretta non erano in grado di garantire un calendario fisso di partite competitive.
Nel 1996 la Federazione cercò di invertire la tendenza con la creazione della National Football League, il primo nella storia del calcio indiano dopo oltre cento anni di attività. Non fu un gran successo e nel 2006 fu ristrutturata, rinominata I-League e dotata di nuove risorse.

Il tentativo della federazione di recedere dal contratto per i diritti televisivi, a vantaggio di uno ben più remunerativo con la multinazionale Reliance-IMG fiancheggiata dal colosso tv Star, in seguito abortito, portò nel 2014 alla formazione di un altro campionato, la Indian Super League.

Sponsorizzato da reti televisive, multinazionali e stelle del jet-set indiano prese il via, nonostante i regolamenti FIFA vietino la disputa di più di un campionato nazionale in ogni Stato, grazie ad una speciale dispensa .
Ma non si diventa forti con gli spettatori tv e i milioni di pubblicità e diritti tv, quelli servono per arricchire chi organizza il campionato e i proprietari delle squadre. Si diventa forti giocando e, non si scappa, bisogna partire dal basso, dai bambini.

Altro problema, legato alla mentalità corrente, è che il calcio oggi in India dà poca visibilità, celebrità o tantomeno ricchezza per chi lo pratica. Soldi e prestigio sono associati al cricket.
Quindi, a meno che tu non sia un cricketer promettente, i genitori ne scoraggiano apertamente la pratica e non accettano altro dai figli che non sia lo studio. E questo decisamente non aiuta.

La nazionale continua il suo percorso deludente, ultima nel girone di qualificazione al mondiale 2018, è penultima in quello per le qualificazioni al mondiale 2022.
Se avranno il coraggio di destinare una grossa fetta degli introiti della ISL per finanziare il calcio alla base, e la pazienza di aspettare, magari fra una ventina d’anni cominceremo a vedere qualcosa. Ma sembra che la strada imboccata sia un’altra.

Le squadre della ISL non hanno settori giovanili. Non rischiano di far giocare un ragazzo indiano senza esperienza in un torneo ad alta spettacolarità (televisiva).
Non sembra un movimento sportivo in crescita, ma uno spettacolo televisivo che ha già trovato un pubblico in cerca di attori. La I-League di contro rischia di sparire non potendo economicamente competere con la ISL. Triste.

Autori del libro «Rock n Goal – Calcio e Musica – Passioni pop », VoloLibero Edizioni