Censura sul caso Regeni e gamba tesa contro la stampa egiziana in rivolta: è il contenuto, in breve, delle istruzioni a uso interno che per errore il Ministero degli Interni ha inviato ai media dal proprio indirizzo mail. Ufficialmente per errore: dopo l’invio, il dicastero ha parlato di «malfunzionamento tecnico», ma nei corridoi si rincorrono voci diverse. C’è chi parla di un hackeraggio, chi di atto volontario da parte di qualcuno interessato a ostacolare l’uscita dal tunnel in cui il regime di al-Sisi si è infilato.

Il presidente appare indebolito: la campagna di repressione di società civile e stampa è così brutale da avere prodotto l’effetto opposto, almeno all’interno dei confini nazionali. Se fuori la comunità internazionale continua a coccolare Il Cairo, in casa la gente esprime una rabbia crescente. Il governo, dice quel documento diffuso per errore, corre ai ripari ed indica le linee guida per zittire le proteste, quella che viene definita «un’escalation deliberata» ordita dai leader sindacali che puntano ad ottenere vantaggi politici. «C’è da aspettarsi – si legge – una feroce campagna mediatica da parte di tutta la stampa in solidarietà con il sindacato», violato domenica scorsa dal raid della polizia e dall’arresto di due giornalisti.

Per questo, ordina il Ministero, si deve rimanere fermi nelle propri posizioni e «coordinarsi con programmi tv, esperti e generali in pensione per invitarli a parlare a favore del Ministero»: «Non possiamo fare un passo indietro ora: una retromarcia significherebbe ammettere di aver fatto un errore. E se c’è un errore, chi è il responsabile?». Di certo ieri uno sbaglio, volontario o meno, è stato commesso e il Ministero ha già fatto sapere di aver avviato indagini interne per risolvere il mistero della mail incontrollabile.

Ad emergere, però, da quelle righe è anche una pratica spesso utilizzata dal governo cariota: la censura su fatti sensibili e potenzialmente distruttivi. Come il caso Regeni: alla procura generale (quella che dovrebbe collaborare con gli investigatori di Roma) è stato chiesto di imporre il silenzio sull’omicidio del ricercatore. Non è la prima volta: secondo quanto riportato dal Daily News Egypt, dal 29 giugno 2015 alle proteste di massa del 25 aprile, sono stati almeno 8 i casi di censura su fatti interni.

Quel giorno di un anno fa veniva ucciso l’ex procuratore generale Hisham Barakat, omicidio che ha dato il via ad un’ondata di divieti per la stampa: è successo con il caso dei fondi esteri alle Ong egiziane; con la denuncia di corruzione mossa da Hisham Geneina, presidente (poi licenziato) dell’istituto Central Auditing Organization che dal 1942 monitora i casi di corruzione; con le mazzette ricevute da funzionari del Ministero dell’Agricoltura. L’obiettivo è palese: impedire ai giornalisti di investigare, alla gente di discuterne.

Ma ieri, nella Giornata Internazionale per la Libertà di Stampa, i giornalisti egiziani hanno continuato a manifestare. Di fronte alla sede del Sindacato della stampa, proseguono nel sit-in indetto per costringere il ministro degli Interni Ghaffar alle dimissioni e per ottenere il rilascio dei due giornalisti di January Gate, Amr Badr e Mahmoud el-Sakka. I due lunedì si sono visti allungare l’ordine di detenzione di due settimane, con l’accusa di aver diffuso notizie false e aver incitato al colpo di Stato.

Sopra l’edificio la bandiera del sindacato è stata sostituita da bandiere nere, listate a lutto per ricordare le condizioni di lavoro dei giornalisti egiziani. Oggi si terrà un’assemblea generale durante la quale il sindacato annuncerà le prossime mosse. Per ora hanno ottenuto un sostegno inatteso: la mano tesa del giornale governativo al-Ahram. In un editoriale definito in Egitto «senza precedenti», il quotidiano di proprietà dell’esecutivo del Cairo si fa carico indirettamente delle stesse richieste dei colleghi: le dimissioni del ministro Ghaffar.

Il raid contro il sindacato della stampa, scrive al-Ahram, è «una mossa inaccettabile» da parte di un Ministero che «ha commesso tanti errori nell’ultimo periodo, concludendo con il suo infelice comportamento nei confronti dei diritti dei giornalisti e dei lavoratori dell’informazione».

Eppure, aggiunge il quotidiano, Ghaffar «non riuscirà nel suo pernicioso obiettivo di chiudere le bocche e reprimere le libertà di espressione e opinione». Un affondo durissimo che dà la misura delle crepe che si stanno moltiplicando nel monolitico blocco del potere del presidente golpista.