A nove mesi dalla scomparsa e il barbaro omicidio di Giulio Regeni, la procura di Roma vola al Cairo dalla controparte egiziana. Ieri gli investigatori egiziani hanno consegnato al pm Sergio Colaiocco i documenti personali di Giulio: passaporto, bancomat e due tesserini universitari. Ovvero quei documenti che il 24 marzo erano magicamente apparsi nella casa della sorella di Tarek Saad Abdelfattah, presunto criminale ucciso poche ore prima dalla polizia insieme ad altre quattro persone.

Subito emerse la gravità dell’insabbiamento compiuto dalla polizia egiziana: ci volle poco per capire che la sparatoria che uccise i cinque egiziani era stata architettata ad arte, un modo subdolo per trovare capri espiatori ad un omicidio di Stato.

A dare notizia della consegna è stata la stessa procura italiana, in un comunicato congiunto redatto con quella egiziana e che annuncia anche il prossimo meeting, stavolta a Roma, a dicembre per scambiarsi altri documenti utili alle indagini. In quell’occasione dovrebbe svolgersi anche l’incontro – preannunciato a settembre dal procuratore generale egiziano Nabil Sadeq – con la famiglia Regeni.

«Durante il fruttuoso incontro le parti hanno discusso gli ultimi sviluppi investigativi e hanno rinnovato il loro impegno a continuare la proficua collaborazione nel comune intento di assicurare giustizia per la vittima – si legge nel comunicato di ieri – Sono stati richiesti dalla procura di Roma i documenti della vittima rinvenuti il 24 marzo, che sono stati immediatamente consegnati».

Un minimo passo in avanti con cui Il Cairo può dire di collaborare con l’Italia, ma che si inserisce in un contesto di omertà e insabbiamenti che allontana dalla verità. Di certo aiuta molto poco l’atteggiamento internazionale: se l’Unione Europea è scomparsa e molti dei suoi leader hanno fatto a gara per stringere rapporti economici e militari con l’Egitto di al-Sisi nella speranza di soppiantare Roma, adesso è l’Onu a fare regali al regime golpista. Il 28 ottobre le Nazioni Unite hanno svolto le elezioni per i 47 membri del Consiglio dei diritti umani. La delegazione italiana ha votato no, ma l’Egitto si è comunque guadagnato il seggio grazie a 173 voti a favore su 193.

Eppure Il Cairo non è certo la patria del rispetto dei diritti umani: il caso Regeni non ha fatto altro che scoperchiare un vaso di Pandora che per il popolo egiziano è dolorosa quotidianità. Alla repressione sempre più pervasiva si aggiunge una dura crisi economica che colpisce le classi più povere, specchio di un governo disfunzionale che mantiene il paese in uno stato di paura e miseria.

C’è chi in parlamento prova a contrastare le politiche governative. Trenta deputati su 125 hanno firmato lunedì una petizione che chiedeva di mettere sotto impeachment l’attuale governo sulla base dell’incapacità ad affrontare l’attuale crisi economica. Il premier Ismail ha rispedito al mittente le accuse: la crisi – ha detto – è dovuta a problemi economici di lungo corso. Capitolo chiuso.