Come fa un ragazzo, bassino di statura, un po’ balbuziente e taciturno, confinato in un paese alle pendici del Vesuvio, senza aver studiato il pentagramma, a diventare un musicista noto e apprezzato in tutta Europa? Ce lo racconta Tony Cercola (nome d’arte di Antonio Esposito, che ha scelto come cognome il paese di residenza, nell’hinterland napoletano, per evitare confusioni con l’omonimo Tony Esposito) , nella sua autobiografia, Come conquistare il mondo con una buatta (ed. Anordest, 224 pagine, euro 10,90). Certo i due barattoli di latta di caffè (le cosiddette buatte, in napoletano influenzato dal francese) attaccate col nastro adesivo ai bonghetti sono state , per un certo periodo, il segno distintivo di questo percussautore, suonatore originale e appassionato di piccoli strumenti da colpire, che ha cominciato con Edoardo Bennato e Pino Daniele, alla fine degli anni settanta, e ha attraversato tutta l’epoca d’oro della canzone d’autore e del Neapolitan Power, tra riconoscimenti internazionali e momenti più bui, incontri e concerti indimenticabili (il prossimo sarà all’Arena di Verona il 1 settembre con Pino Daniele e tutti gli altri amici dell’epoca di Nero a metà).

«La musica mi ha guarito, dandomi una personalità chiara e definita – racconta Tony Cercola in questo lungo dialogo con Antonio G. D’Errico, giornalista e coautore del libro – Mi ha insegnato ad esprimermi in italiano, a dare forma ai pensieri…Avevo dentro di me un’energia compressa, era la voglia di dire qualcosa, per uscire da quella condizione di estrema frustrazione in cui mi trovavo».

Così ecco i tanti amici e le persone comuni dell’area vesuviana che hanno aiutato questo giovane emotivo e ansioso a ritrovare il suo riscatto e una piena dignità, cominciando dai primi passi del ragazzetto, malvestito, con la parlata paesana, con una grande urgenza espressiva ma senza studio e senza tecnica, alle esperienze coi gruppi di folk popolare, come Nacchere rosse, Contadini della Zabatta,’E Zezi, la Paranza di Somma Vesuviana fino agli show con Don Cherry, Naná Vasconcelos, Billy Cobham. La grande rivincita è nelle sue composizioni, nelle stagioni di grande creatività attraversate, nelle tormentate vicende private. L’altro genitore è in qualche modo anche lui responsabile della scelta di vita di Tony, incantato dal suono dei piatti di rame della bilancia dove il padre, professione panettiere, pesava le forme uscite dal forno e giocherellava con le mani trasmettendo una vibrazione interiore incantevole. Da lì è passato anche Tony, mettendo insieme la Circumvesuviana e lo shekere, le sofferte discriminazioni e i contratti discografici, puntando forte sul suo lavoro con le assonanze, con l’onomatopeica, col dialetto, vicino al gramelot di Fo e alle improvvisazioni verbali dei rapper (dando vita, insieme all’altro artista geniale, Gino Magurno, al lumumbese, un linguaggio tutto inventato e multietnico ante litteram). Un viaggio attraverso gli ultimi decenni della musica d’autore italiana, con le parole di Tony Cercola, l’erede di Gegè Di Giacomo e della sua scuola, chill’ ca’ tene l’argiento vivo dint’ e mane.