Il centro di accoglienza per i richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto è un blocco di cemento armato in una area isolata della campagna romana, tra la via Flaminia e la via Tiberina. Sono 54,7 i chilometri che lo separano da Roma e 5 quelli dal centro abitato più vicino. Fa parte di un comprensorio di più di 120.000 metri quadrati ormai ampiamente in disuso: un centro della Croce rossa e un meccanico sono quello che resta di funzionante in un panorama desolato. Nessuna insegna, nessun cartello. Solo un insieme di strutture circondate da filo spinato e telecamere, con una sbiadita scritta all’ingresso, «Centro Polifunzionale». Dal 2008 l’impianto accoglie 650 ospiti, ma «durante la notte scavalcare la recinzione non è difficile», racconta uno dei ragazzi incontrati lungo la strada perimetrale al centro, così il numero cresce.

I C.a.r.a. sono strutture in cui vengono accolti migranti dopo l’identificazione, persone che intendono chiedere la protezione internazionale. Attraverso bandi di gara, il ministero dell’Interno appalta i servizi dei centri a entri gestori privati per la durata di un triennio. Le commissioni territoriali che si occupano dell’esame delle domande sono venti e sono formate da un funzionario della prefettura, uno della questura, un rappresentante dell’ente locale e un membro dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr). I tempi di permanenza degli “ospiti” sono legati al lavoro delle commissioni e agli esiti delle domande: riconoscimento dello status di rifugiato, protezioni sussidiarie, protezioni per motivi speciali oppure si può ricevere il diniego al quale è possibile fare ricorso. La dislocazione in aree periferiche rispetto alle città che contraddistingue queste strutture ne nega di fatto la funzione integrativa per la quale venivano istituiti.

Quella di Castelnuovo di Porto è attiva dal 2008, 12 mila metri quadri, 172 stanze, un campo da calcio, una zona lavanderia e un atrio interno. Il centro ha una particolarità: sorge a poche centinaia di metri dal Tevere. È per questo che la zona è classificata dall’Autorità di bacino del fiume come area a massimo rischio esondazione.

Superata una doppia rampa di scale si apre uno spazio dove confluiscono le varie corsie attraverso le quali è difficile muoversi: accumulati fuori dalle stanze, mucchi di indumenti e qualche valigia fanno da intralci. Le pareti, alcune di colore bianco, altre gialle, mostrano ancora i resti della alluvione che allagò nel 2014 il centro. A poca distanza l’una dall’altra sulle porte delle stanze, per chi ha la fortuna di averle ancora, si legge: «4 letti». All’interno la realtà è un’altra, sono almeno in 8, i più sfortunati sono costretti a dormire in terra su materassi. Nemmeno un armadietto a disposizione, tutto sparso sul pavimento. Le finestre che danno sull’atrio interno non hanno più vetri, scotch e plastica ne hanno preso il posto.

Le altre stanze che si vedono non sono diverse, il numero di ospiti è lo stesso. «4 letti», insomma, continua ad essere la promessa disattesa. Chi non trova posto nelle stanze si stende in dormitori improvvisati: una branda, qualche coperta e quello che resta di vecchie biciclette trasformano il tetto in stanza. Finito il lungo corridoio si accede ad uno spazio comune: ci sono scale per raggiungere il piano sottostante e un biliardino malconcio. Le pareti ammuffite, a volte bucate, e escrementi di animali sul pavimento testimoniano un servizio igienico a dir poco scadente.

Al supermercato comprano candeggina e prodotti per pulire i pavimenti, ma anche assorbenti, nonostante il servizio di pulizia e la fornitura di prodotti igienici siano compresi nelle specifiche tecniche della gara: «Quelli che ci danno qui sono inutilizzabili e le pulizie non vengono effettuate, chi dovrebbe farlo si limita soltanto a presentarsi – denuncia una ragazza- qui le cose sono come dovrebbero essere solo in apparenza». Nel centro ci sono anche donne incinta e bambini e da qualche tempo è impossibile l’utilizzo dell’acqua calda: va e viene. Era il 2016 quando l’Anac, dopo alcune, ispezioni aveva rilevato problemi legati all’erogazione dell’acqua calda che ad oggi sembrerebbero ancora irrisolti.

Per ogni ospite la cooperativa Auxilium dei fratelli Chiorazzo, vincitrice dell’appalto, incassa 21,90 euro al giorno. L’immobile di proprietà dell’Inail dal 2008 è stato dato in concessione alla prefettura di Roma ma del contratto che doveva essere redatto a seguito di accordi non esiste traccia. Viene definito nella relazione dell’Anac del 2016 un «contratto passivo» e la passività sembrerebbe risiedere anche nella irresponsabilità con la quale entrambi i contraenti gestiscono le opere di manutenzione: «Anche sotto l’aspetto della ripartizione degli oneri di manutenzione assume rilevanza l’assenza di un contratto tra le parti che avrebbe potuto disciplinare l’attività manutentiva in maniera chiara e precisa». Quello su cui non c’è alcun dubbio è la somma corrisposta dalla Prefettura all’Inail, che dal 2008 al 2017 è stata di 12.260.735,2 euro, spese emergenziali escluse.

La gara d’appalto pubblicata sul sito della Prefettura di Roma «da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso», rivela le ragioni di un fallimento pronosticabile già dal suo incipit. La miglior offerta è quella della coop cattolica Auxilium, dopo il commissariamento della Enriches 29. Era il 2015 quando, secondo quanto scritto dai Pm di Roma, Salvatore Buzzi e Massimo Carminati – condannati nel 2018 per associazione di stampo mafioso – avevano stretto con i Chiorazzo «un patto di non belligeranza» per aggiudicarsi la gestione di mille migranti. I due parlavano di Chiorazzo come di un nemico, ma un nemico potente, con cui cercare un modus vivendi: «È amico di Gianni Letta, quello!». Detto «O’vaticanista», Angelo, il maggiore dei fratelli, è un fedelissimo di Comunione e Liberazione nella quale milita dai tempi dell’università, militanza che gli è valsa il soprannome e amicizie di spicco, una su tutte quella di Giulio Andreotti.

La cavalcata della coop di Senise, un piccolo paesino lucano, va a gonfie vele, nonostante piccoli incidenti di percorso. Stando al bilancio della camera di commercio la gestione dell’accoglienza ha fruttato all’Auxilium 56.246.970 euro nel 2015 e 61.161.257 nel 2016. Nella graduatoria, al secondo posto, la coop Senis Hospes (che ha gestito il C.a.r.a. di Foggia fino alla revoca del Viminale nel 2017) con 26.272.514 nel 2015 e 46.146.761 nel 2016. Entrambe con la sede amministrativa nella minuscola Senise, a pochi metri una dall’altra.

Con un’offerta di 15.565.972,50 per tre anni – fino al 6 aprile 2017 – e un ribasso del 27,1% (rispetto ai 21.352.500 di euro stanziati dalla Prefettura), la coop dei fratelli Angelo e Pietro Chiorazzo ha vinto l’appalto. Per intenderci: hanno affermato di poter gestire ciascuna persona con 21, 90 euro al giorno, a fronte dei 30 stimati dal Ministero dell’Interno, che ringrazia e sottoscrive. Dei 21, 90 euro al netto dei servizi che dovrebbero essere esplicati dalla Auxilium, ne restano 2,5 che vengono messi a disposizione dei migranti.

La fotogallery

 

Cala il sole, e l’essenza di un impianto vero e proprio di aerazione si fa sentire: «Battiamo i denti dal freddo, non c’è altro da fare», racconta Abou. Di notte, i nemici principali diventano le cimici che infestano i letti. «Le lenzuola sono sempre le stesse da un anno e mezzo», denunciano due ragazzi, «al C.a.r.a. è difficile anche dormire».

Nel frattempo, dal 12 dicembre 2017, la nuova gara per ottenere la gestione del centro è in corso. L’Auxilium, che già era alle prese con il decreto ministeriale del 7 marzo 2017 (suddivisione in 4 lotti: servizi, pasti, servizi di pulizia e igiene ambientale e beni), per i bandi di gara relativi ai centri con più di 300 posti dovrà fare i conti anche con la nuova legge sulla sicurezza volta dal ministro Salvini.

Con un decreto, della durata di 90 giorni, la gara è stata sospesa in data 13 novembre 2018. I tre mesi dovrebbe essere sufficienti per aggiornare i bandi di gara in conformità al nuovo schema di capitolato redatto dall’ Anac (Autorità nazionale anti corruzione), si legge dal sito della prefettura di Roma. L’Auxilium, prima della sospensione, figurava tra gli ammessi nella gestione del primo lotto: importo a base d’asta 9.701.152,50 su un totale, per i 3 lotti, di 36.928.437,00.

Akram Zubaydi, direttore del C.a.r.a., nega che le presenze nel centro eccedano il limite consentito di 650 e per il resto preferisce non rilasciare dichiarazioni: «Dovete chiedere al Ministero dell’Interno, poi vi accoglieremo a braccia aperte». Invece il comune di Castelnuovo dice di non essere a conoscenza del numero di residenti nel centro e della sua grandezza: «Lo sa il Ministero, chiedete a loro». Abbiamo chiesto e il Viminale ha confermato che «al momento il C.a.r.a. non presenta una situazione di sovraffollamento rispetto a quanto contrattualmente previsto, come risulta dal dato delle presenze». In merito al sovraffollamento dei migranti nelle 172 stanze, «la disposizione degli ospiti è condizionata da diversi fattori quali la presenza di nuclei familiari, vulnerabilità e situazioni particolari».

Intanto a Castelnuovo è sera, sono le 23 e gli ultimi ospiti fanno ritorno al centro. È tornato anche Messi (come lo chiamano tutti), uno dei bambini del C.a.r.a.. Ha 6 anni e da 3 vive qui dentro.