Il 27 ottobre 2017 ero a Montecitorio, insieme agli altri promotori della campagna Ero straniero, per depositare la proposta di legge di iniziativa popolare di riforma della gestione dell’immigrazione in Italia. Eravamo circondati da scatole piene dei moduli sottoscritti da oltre 90.000 cittadini e dai tantissimi attivisti, militanti, volontari, sindaci che quelle firme una per una avevano raccolto in tutta Italia. Oggi la proposta di legge è all’esame della prima commissione della Camera – ne è relatore Riccardo Magi – e aspetta di essere approvata.

Quella campagna è stata e continua a essere la prova di come organizzazioni e movimenti con storie diverse – radicali, organizzazioni religiose, sindacati, realtà impegnate nell’accoglienza e nel sociale – possano avere la forza di proporre i cambiamenti necessari a garantire al paese più diritti, più legalità e più sicurezza, quei cambiamenti che una politica sempre più ostaggio del consenso non ha avuto il coraggio di fare.

Da quasi vent’anni, dall’approvazione della famigerata Bossi-Fini, abbiamo assistito a una gestione del fenomeno migratorio irrazionale e miope, spesso vittima della propaganda, in difficoltà di fronte all’aumento dei flussi negli anni più recenti, senza che vi sia stato il coraggio, da parte dei diversi governi che si sono succeduti, di cambiare il sistema fallimentare introdotto nel 2002. Tanto che da allora molti di quei governi, alle prese con numeri sempre più alti di persone rimaste senza documenti e costrette al lavoro nero, con sempre maggiore marginalità a livello sociale, non hanno potuto fare altro che ricorrere a sanatorie periodiche. E con un certo successo, visto che centinaia di migliaia di persone vi hanno ogni volta aderito, rimanendo successivamente a vivere e lavorare dignitosamente nel nostro paese, contribuendo in maniera importante al nostro Pil, versando contributi indispensabili alla tenuta del nostro sistema pensionistico, facendosi carico dei nostri anziani o diventando manodopera indispensabile per tanti comparti produttivi. Ma si è tornati ogni volta, dopo poco tempo, alla situazione di partenza, senza una programmazione efficace degli ingressi per lavoro e senza puntare sull’integrazione.

Negli ultimi mesi qualcosa si sta muovendo: la regolarizzazione straordinaria del maggio scorso, seppur molto limitata e dettata dall’emergenza sanitaria, e il decreto immigrazione da poco pubblicato, pensato per riparare ad alcuni dei danni più pesanti causati dai decreti sicurezza, potrebbero rappresentare i primi passaggi di un disegno più ampio e più coraggioso. Creiamo un nuovo sistema di ingressi per lavoro in Italia, mettiamo in contatto i datori di lavoro italiani con i lavoratori stranieri in base alle esigenze del nostro mondo produttivo, consentiamo a chi è disposto a partire per cercare una vita migliore di farlo in sicurezza e piena legalità. E investiamo nell’integrazione di chi in Italia già si trova, coinvolgendo i territori e spegnendo il fuoco della paura. Per tutto ciò la palla dovrebbe passare ora al Parlamento che ha a disposizione uno strumento prezioso, la nostra proposta di iniziativa popolare. Non resta che andare avanti coi lavori, discuterla e approvarla. Come in questi tre anni, noi non smetteremo di impegnarci.