Una volta terminato di leggere il libro di Massimo Pieri, Doikeyt, noi stiamo qui ora!, (Mimesis, pp. 187, euro 16), si viene sorpresi da un retgrogusto agrodolce. Dolce perché il libro ha una importante funzione pionieristica vista la rachitica letteratura in lingua italiana sul Bund, organizzazione socialista ebraica attiva tra la fine del XIX secolo e gli anni ’30-’40 del XX secolo «nell’area russa». E agra perché l’opera, dopo essersi concentrata sugli esordi del Bund fino al dibattito interno al Posdr, si sfilaccia, restituendoci solo con alcuni rapidi cenni il ruolo dell’organizzazione ebraica nel 1917 e durante la guerra civile. Il libro è comunque utile per chiunque voglia prendere confidenza con la storia del Bund.

Pieri ci narra, sul filo delle discriminazioni e dei pogrom antisemiti nell’impero zarista, lo sviluppo del bundismo e, in particolare, la discussione interna alla socialdemocrazia russa che gli sta più a cuore: la questione dell’autodeterminazione del proletariato ebraico, il difficile rapporto del marxismo – cosmopolita per sua intima essenza – con la questione nazionale, l’intricata relazione tra le spinte ultracentraliste di Lenin e quelle federaliste del Bund.

L’AUTORE ricostruendo con dovizia questo dibattito, prende chiaramente posizione: «dalle analisi dei socialisti ebrei emergevano nuove impostazioni rispetto a quelle classiche dell’internazionalismo marxista. L’idea di internazionalismo veniva distinta da quella di cosmopolitismo: invece di negare le differenze nazionali queste venivano considerate il presupposto dell’internazionalismo, che significava cooperazione e alleanza tra diversi proletariati nazionali». La questione ebraica, in tal senso, si dimostrava notevolmente ostica poiché gli ebrei risultavano un popolo «esodato» e non legato a uno specifico territorio.

LA ROTTURA al II Congresso del Posdr con gli iskristi, avvenuta sulla richiesta avanzata dai rappresentanti del Bund di essere «l’unico rappresentante del proletariato ebraico e di poterlo rappresentare a prescindere dal territorio» come sottolinea Pieri, se da una parte poneva dei problemi precisi legati all’esistenza di un popolo multinazionale, dall’altra faceva della questione ebraica una sorta di «stato d’eccezione» rispetto alle altre faccende nazionali presenti in Russia.

CERTO, L’ORIGINALITÀ dell’esperienza del lavoro dei bundisti all’interno del proletariato dell’impero russo rischiava di diventare un feticcio. Questa contraddizione non verrà immediatamente alla luce per l’importante ruolo giocato dalle organizzazioni armate di autodifesa create dal Bund contro i ricorrenti pogrom dei primi anni del XX secolo e per il suo ruolo nella rivoluzione del 1905, bensì condusse in seguito il Bund a oscillare tra menscevismo e bolscevismo, dimostrando come la «questione ebraica» non potesse essere slegata dai grandi avvenimenti che seguirono.

IN ALCUNI CAPITOLI del libro Pieri opera un’utile ricognizione che gli consente di tornare sul rapporto tra marxismo e questione ebraica. Vale la pena soffermarsi sull’attenzione dedicata all’opera di Abram Léon, trotskista belga, scomparso nei lager nazisti nel 1944. Pieri contesta la validità della caratterizzazione degli ebrei come «popolo-classe» proposta da Léon affermando che, seppur brillantemente esplicata, non reggerebbe alla prova del fatto che gran parte degli ebrei dell’impero zarista erano proletari. E conclude che «le assurde affermazioni di Léon e degli altri marxisti sulla presunta fine del popolo ebraico sono evidentemente contraddette dalla storia».

Tuttavia in uno scritto sulla questione ebraica del 1937, Trotsky riconobbe questo errore e affermò che la questione ebraica sarebbe persistita a lungo. Malgrado il rivoluzionario russo poté vedere all’opera il nazismo solo in parte, prevedette che all’interno del capitalismo la questione ebraica sarebbe stata risolta «con una soluzione utopistica e reazionaria, il sionismo».

IL BUND, che fu sempre un fiero avversario del sionismo, scomparve negli anni ’30 inghiottito dalla controrivoluzione stalinista, per ricomparire sotto inedite vesti, nell’insurrezione del ghetto di Varsavia del 1944. Ma l’eroica lotta di Marek Edelman e dei suoi compagni, forse è già un’altra storia.