«Renzi chi?» ormai se lo chiedono solo i buontemponi. «Renzi con chi?» è una domanda ben più puntuale, soprattutto se intesa non solo come «con quale maggioranza?» ma anche «con quale viatico?». Con la benedizione di Letta e di Napolitano oppure senza il loro almeno apparente assenso?

Per ora è questo secondo fronte a tenere banco. Le pressioni su Letta per convincerlo a farsi da parte senza uniformarsi al modello Prodi 1998 sono massicce. L’accordo potrebbe prevedere la presenza dell’ex premier nel nuovo governo in veste di ministro degli Esteri: solo un trampolino di lancio per poi approdare ad alta carica europea, ma sufficiente per benedire il successore. Per ora però Letta pare deciso a seguire la via opposta. Non solo continua a parlare di patto di governo come se vivesse su un altro pianeta, non solo ha fissato per oggi, dopo l’incontro con Renzi, una conferenza stampa in cui intende esporre come se nulla stesse accadendo il suo programma, ma, dopo la cortese richiesta di sgombrare il campo da parte del capogruppo di Scelta civica Andrea Romano, ha alzato il telefono per affrontare a muso duro la segretaria della stessa Scelta civica, Stefania Giannini. Letta, se non arriverà come è probabile a più miti consigli nelle prossime ore, addosserà di fatto la responsabilità del tradimento al suo stesso fedifrago partito e rifiuterà di fare buon viso a pessimo gioco.

Per Renzi partire con la maledizione di Letta sarebbe un guaio, destinato a diventare ben più grave ove si dimostrassero fondate le voci che circolavano ieri su un Napolitano deciso a segnalare in qualche modo il suo dissenso dall’operazione. Nella cena di palazzo Chigi con il segretario del Pd il presidente si è trovato di fronte a un classico dilemma, l’obbligo cioè di scegliere tra due strade entrambe assai sgradite: l’incoronazione di Matteo Renzi o le elezioni anticipate. Fedele al suo personale dogma per cui le urne sono il male assoluto, preferisce ingoiare un passaggio di consegne a palazzo Chigi che assolutamente non voleva. Ma non è detto che debba anche fingersi soddisfatto.

Sul fronte della maggioranza, Renzi non può che partire da quella che già sostiene Letta. Il suo orizzonte, però, non può limitarsi a qualche mese come era costretto a fare l’attuale premier. Parte per reggere almeno tre anni, forse addirittura quattro, e governare per un tempo così lungo con il piombo Ncd e Ucd nelle ali certo non gli fa piacere. Il discorso cambierebbe di molto, sul piano concreto e ancor più su quello simbolico, se riuscisse ad allargare la maggioranza a Sel e a una pattuglia di grillini dissidenti. Ci sta provando infatti, ma l’impresa non è facile. Per Sel la discussione dovrebbe partire da un cambio della maggioranza e non da un semplice allargamento. Messe così le cose i margini di manovra sembrerebbero più o meno inesistenti, ma in queste faccende si sa come si parte, non come si prosegue il viaggio e men che mai come si arriva. Renzi potrebbe iniziare con questa maggioranza ma lavorare per sostituirla il prima possibile, l’uomo è abbastanza drastico e spregiudicato per fare questo e altro. Senza contare l’eventualità, improbabile ma sempre possibile, che arrivato al momento della verità il gruppo parlamentare di Sel si dimostri meno determinato e granitico del previsto.

E Silvio Berlusconi? Fosse per lui il Cavaliere in un governo Renzi ci entrerebbe di corsa. Lo ha anche proposto. Gli è stato risposto picche. A questo punto, per lui, la faccenda si fa quindi più che spinosa. E’ vero che non vuole votare subito e che la parte di padre della patria lo premia su più fronti, ma è anche vero che una cosa è rinviare le urne di un anno, tutt’altra di tre o quattro. Tra un anno, inoltre, Alfano non avrebbe altra possibilità se non tornare ordinatamente ad Arcore, fra tre sarà probabilmente del tutto omogeneo a una maggioranza a egemonia Pd. Dunque Forza Italia boccia in partenza il cambio della guardia. Ma ha poca voce in capitolo. Un’arma per uscire dall’impasse Berlusconi la avrebbe: affossare nel voto segreto la riforma elettorale. Ma almeno per ora è deciso a non usarla.