Oscurata da settimane di schermaglie diplomatiche e dalla tensione a Gerusalemme per l’intenzione di Donald Trump di riconoscere tutta la città capitale di Israele – proprio i timori suscitati dalla linea del nuovo presidente Usa potrebbero aver favorito l’accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas che i palestinesi hanno annunciato ieri a Mosca -, la crisi energetica nella Striscia di Gaza è passata (quasi) inosservata. I disagi per la popolazione causati dalla penuria di corrente elettrica sono enormi. E non è motivo di particolare sollievo la buona notizia che i governi di Qatar e Turchia, fronte alle immagini di donne e bambini esposti al freddo, si sono attivati con finanziamenti per diversi milioni di dollari per garantire il funzionamento della centrale elettrica di Gaza. Ogni giorno, da anni, due milioni di persone vivono con poche ore di corrente: otto quando va bene, due-tre come in questo periodo di crisi acuta. Negli ultimi giorni perciò si sono moltiplicate a Gaza le proteste contro i due governi palestinesi incapaci di dare una soluzione a un problema che si trascina da troppo tempo. Giovedì scorso migliaia di palestinesi, partiti dal campo profughi di Jabaliya, hanno marciato in direzione della centrale elettrica. La polizia di Hamas ha disperso a manganellate i dimostranti. Numerosi gli arresti.

I due milioni di abitanti di Gaza necessitano di 450-500 megawatt. La centrale elettrica – bombardata due volte da Israele, nel 2006 e nel 2014 – però non riesce a produrne più di 30 megawatt. Altri 30 arrivano dall’Egitto e 120 da Israele. D’inverno la temperatura di notte scende a tre-quattro gradi e la popolazione, in gran parte povera, per riscaldarsi usa ogni mezzo possibile, a cominciare da vecchie stufe a gasolio che non di rado provocano incendi con vittime e feriti. Pesano anche problemi finanziari e contrasti politici. Indebitata per un miliardo di dollari la società elettrica non è in grado di ottenere altro credito. Servono cinquecento milioni di dollari per riabilitare la rete elettrica e il blocco di Gaza, attuato da Israele ed Egitto, rende complicato ottenere i pezzi di ricambio. L’Anp di Abu Mazen paga per l’acquisto in Israele del gasolio per la centrale di Gaza. Ora però sostiene di non poter più coprire costi per decine di milioni di dollari a causa delle sue difficoltà finanziarie. Una spiegazione che Hamas respinge.

Gli islamisti però sono finiti a loro volta sotto accusa. Alle manifestazioni di protesta a Gaza molti hanno urlato «Basta Hamas. Vogliamo l’elettricità». Motivo di tanta rabbia l’erogazione, per un numero maggiore di ore, negli edifici di Hamas e, pare, anche nelle abitazioni di funzionari del movimento islamico. Inoltre ai dipendenti pubblici viene decurtata direttamente dallo stipendio una quota per il costo dell’energia ma ciò, secondo indiscrezioni, non avverrebbe con i dirigenti governativi. La gente è stanca. Così quando nei giorni scorsi la polizia ha arrestato un comico locale, Adel al Mashwakh, perché aveva postato su Facebook un video in cui criticava Hamas (visualizzato 180.000 volte), è scesa in strada a urlare la sua protesta.

In Cisgiordania intanto prosegue lo stillicidio di vite palestinesi. Nidal Mahdawi, di 44 anni, è stato ucciso perché ad un posto di blocco nella zona di Tulkarem, secondo la versione israeliana, avrebbe estratto un coltello e tentato di colpire un soldato. Una versione che i palestinesi non confermano. A Taqua (Betlemme) un 17enne, Qusay al Umour è stato colpito dai militari israeliani, durante scontri violenti ha detto l’esercito. In un filmato che gira in rete il ragazzo però non appare mettere in alcun modo in pericolo i soldati.

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