Oggi vota il Kosovo, l’ex provincia serba che si è autoproclamata unilateralmente «Stato» nel 2008. La nazione è riconosciuta da poco più della metà dei membri dell’Onu, ma il suo status divide ancora il Consiglio di Sicurezza e la stessa Unione europea.

Qualunque sarà il risultato delle elezioni politiche anticipate, convocate perché tra i tanti si è aperto un conflitto sulla nascita di un esercito regolare nazionale, osteggiato anche dalla minoranza serba che partecipa al parlamento di Pristina, tre sono i fatti rilevanti da sottolineare, che fanno ancora di questa realtà il buco nero dell’intera Europa e degli stessi Balcani normalizzati a ferro e fuoco. Il Kosovo è ancora presidiato da un forte contingente Nato di migliaia di militari.

Il primo riguarda il voto dei serbi delle enclave, soprattutto nelle città del nord a cominciare dalla divisa Kosovska Mitrovica. I serbi rimasti in Kosovo sono circa centomila – su una popolazione di meno di 2 milioni di abitanti -, gli altri con tutta la comunità rom sono fuggiti sotto il terrore che si è scatenato dopo la vittoria militare delle milizie dell’Uck grazie ai bombardamenti «umanitari» della Nato che per 78 giorni hanno devastato l’intero territorio della ex Jugoslavia, con tante stragi da effetti collaterali rimaste assolutamente impunite. Non a caso sulla piazza principale di Pristina troneggia la statua di Bill Clinton.

E veniamo così alla seconda questione. Perché ora la novità è data dall’accordo di Bruxelles di un anno fa tra Belgrado e Pristina, sotto i diktat dell’Unione europea che ha preteso una forma di riconoscimento del Kosovo da parte della Serbia. Belgrado non riconosce ( come tutti i serbi) il Kosovo come Stato separato, lo considera peraltro fondativo della nazione, della cultura e della religione serba.

Ma ora è stato sottoscritta una sorta di «consenso assenso» che ha portato di fatto a misconoscere le richieste di appartenenza alla Serbia della minoranza rimasta in Kosovo, con il ritiro della rappresentanza governativa dal nord e lo scambio di ufficiali di collegamento, quasi ambasciatori.

La minoranza serba dunque è abbandonata, allo sbando, si sente «venduta senza niente in cambio» e, com’è già accaduto per le amministrative del 2013, nonostante rassicurazioni dell’ultimo minuto date dal neopremier di serbo Aleksandar Vucic che ha dichiarato che «non sarebbe saggio non partecipare al voto di domenica», probabilmente diserterà con una percentuale molto alta le urne. Da tenere conto che finora lo stesso referendum per l’indipendenza, che ebbe il 43% di votanti, e le altre elezioni, hanno visto l’astensione in massa degli stessi elettori kosovaro-albanesi.

Terzo argomento, tutt’altro che secondario, Il Kosovo è davvero il buco nero d’Europa quanto a traffici malavitosi, corruzione e violazione dei diritti umani, nonostante o «grazie» l’immensa quantità di denaro internazionale – dell’Ue-Eulex, della Kfor-Nato, della missione Onu, dell’Osce – fluito copiosamente nelle casse di partiti e istituzioni. Una corruzione che deriva dalla natura malavitosa della guerriglia Uck, prima considerata dal Dipartimento di Stato Usa come «terrorista» e nel marzo del 1999 all’improvviso alleata e fanteria della Nato.

La guida dell’Uck era Hashim Thaqi, ora primo ministro. È lo stesso Hashim Thaqi che una indagine della magistratura internazionale, dopo le denunce del rapporteur del Consiglio d’Europa Dick Marty e di Carla Del Ponte, indica come il responsabile di un crimine unico: avere organizzato per finanziare le sue milizie, un traffico di organi espiantati a centinaia di cittadini serbi inermi catturati durante la guerra civile.

Questo processo pende sulle elezioni di oggi, così come i risultato dell’altro processo che si è concluso un mese fa a Pristina, sempre per espianto di organi ma dal 2006 in poi, nella clinica Medicus della capitale kosovara, con cinque condanne di personalità, anche mediche, che chiamano in causa la leadership di Thaqi.

Suonano dunque a dir poco ambigue le parole «L’Unione europea desidera vedere elezioni legislative libere, eque ed inclusive» in Kosovo, pronunciate ieri dal capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton, la protagonista del diktat a Belgrado per il quasi «riconoscimento». Per il Kosovo queste sono «le prime elezioni – ha sottolineato Ashton – dopo la conclusione dei negoziati dell’accordo di associazione» fra Ue-Kosovo, di conseguenza un test importante per il futuro percorso di integrazione di Pristina nell’Unione dei 28, ma anche di Belgrado, che ha invitato i serbi del Nord a non boicottare questo voto. Come finirà?

Le precedenti elezioni parlamentari si sono tenute in Kosovo nel 2010, le prime dopo la proclamazione d’indipendenza unilaterale dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Prima forza politica era risultata allora il Partito democratico del Kosovo (Pdk) del premier Hashim Thaqi con il 33,5% dei voti, seguito dalla Lega democratica del Kosovo (Ldk) con il 23,6%, il movimento ipernazionalista Vetevendosje (Autodeterminazione) con il 12,2%, l’Alleanza per il futuro del Kosovo con il 10,8%.

Hashim Thaqi punta a rilanciarsi e a vincere ma, dicono i sondaggi che lo indicano come responsabile di troppe malefatte, le sorprese non mancheranno.