Con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e alla truffa sono stati arrestati, ieri mattina, due dirigenti della Curia di Terni-Narni-Amelia insieme ad un tecnico del Comune di Narni.
La vicenda deve essere delineata in tutti i suoi dettagli – l’indagine è ancora in corso e ci potrebbero essere ulteriori sviluppi – ma il quadro risulta sufficientemente chiaro al sostituto procuratore di Terni, Elisabetta Massini, che ha ordinato gli arresti: una serie di operazioni immobiliari spericolate condotte da almeno due dirigenti laici della Curia – Luca Galletti (ex presidente dell’Istituto per il sostentamento del clero e direttore dell’ufficio tecnico dell’Economato) e Paolo Zappelli (direttore dell’ufficio amministrativo dell’Economato) – che hanno provocato un buco di 20 milioni di euro nelle casse della diocesi umbra. Ancora da chiarire il ruolo dell’ex vescovo di Terni dal 2000 al 2012, monsignor Vincenzo Paglia – che non è indagato – guida spirituale della Comunità di Sant’Egidio (fondata nel 1968 dall’ex ministro Andrea Riccardi) e da poco più di un anno chiamato in Vaticano da Ratzinger alla guida del Pontificio consiglio per la famiglia: era al corrente dei movimenti di denaro e di immobili che si sono svolti mentre era a capo della diocesi oppure tutto è accaduto a sua insaputa?
La vicenda prende le mosse proprio dal bilancio in rosso della Curia, emerso nel mese di febbraio, quando alcuni dipendenti, a cui era stato proposto di trasformare i contratti da tempo pieno a part-time o di passare alle dipendenze di una cooperativa, si rivolgono ai sindacati temendo per il posto di lavoro. Andando a fondo, compaiono diverse società riconducibili alla Curia ternana, che avrebbero effettuato operazioni piuttosto azzardate, attingendo alle casse e al patrimonio della diocesi. A quel punto si allarma anche il Vaticano che invia a Terni – senza vescovo da diversi mesi per la promozione di Paglia – un amministratore apostolico per fare chiarezza, mons. Ernesto Vecchi, già vescovo ausiliare di Bologna, da più di un anno in pensione per raggiunti limiti. Una decisione importante, che viene presa quando in una diocesi emergono gravi problemi, come è accaduto recentemente a Trapani (vescovo rimosso ed economo sospeso a divinis e indagato per ricettazione e truffa) e Orvieto (un prete sospettato di omosessualità che si suicida alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale approvata dal vescovo ma bloccata dal Vaticano).
Mons. Vecchi scopre il buco di bilancio in tutta la sua ampiezza, la Procura indaga ed emette i primi avvisi di garanzia, diretti agli arrestati di ieri e ad altre persone, fra cui ancora qualche dipendente degli uffici economici della Curia. Tutti vengono incoraggiati a dimettersi dagli incarichi, un po’ come è avvenuto in queste settimane per i vertici dello Ior. In questo periodo iniziano a circolare anche lettere, documenti e testimonianze – spesso anonime – che gettano qualche ombra su mons. Paglia, immediatamente difeso dai suoi supporter.
Ieri la svolta, con gli arresti. Al centro il castello di San Girolamo a Narni, messo in vendita dal Comune per 1 milione e 760 mila euro e acquistato – nonostante una serie di anomalie amministrative – dopo un complicato passaggio di quote, da una società facente capo a Galletti e Zappelli e dall’Istituto diocesano per il sostentamento del clero. Che però poco dopo si sfila dall’affare, lasciandolo a Galletti e Zappelli, senza che questi sborsino un centesimo, grazie al coinvolgimento della diocesi di Terni e dell’Ente seminario vescovile di Narni, che si sarebbero impegnate a versare oltre un milione di euro, ovvero la quota precedentemente detenuta dall’Istituto. Non è chiaro se la diocesi e i suoi enti siano stati usati come copertura e come cassa da cui attingere da Galletti e Zappelli, oppure se siano anche loro attori protagonisti della vicenda. Certo è che per movimenti superiori al milione di euro, gli Istituti per il sostentamento del clero devono avere non solo l’autorizzazione del vescovo ma anche «il preventivo parere della Conferenza episcopale italiana» e «l’autorizzazione» della Santa Sede. Insomma nonostante le parole e gli atti di papa Francesco sui beni e i patrimoni della Chiesa, la finanza ecclesiastica resta un enorme buco nero.