Il mare è molto agitato attorno all’Europa dopo il voto britannico e, come direbbero gli inglesi, “il continente è isolato”. La schiacciante e non prevista (in queste proporzioni) vittoria di David Cameron rafforza l’offensiva di Londra contro Bruxelles, apre un periodo di grande incertezza nella Ue, ormai messa a confronto non solo più con la minaccia di un Grexit, ma con quella – per alcuni ancora più grave, a cominciare dal mondo degli affari – di un Brexit. Mentre il vecchio continente celebra la capitolazione della Germania nazista (8 maggio) e oggi nel giorno della “Festa dell’Europa” i 65 anni della dichiarazione di Robert Schumann, che aveva posto la prima pietra della costruzione europea proponendo la costituzione della Ceca (comunità del carbone e dell’acciaio, cioè della base materiale che aveva permesso la guerra), l’Unione europea è ora di fronte a una nuova svolta storica, ma di segno opposto. Un passo verso la dissoluzione di quello che è stato costruito in 70 anni, con la prospettiva di salvare soltanto l’Europa del mercato unico e della finanza.

Appena uscito dall’incontro con la regina, David Cameron ha confermato che manterrà la promessa elettorale di indire un “in/out referendum sul nostro futuro in Europa”, entro la fine del 2017. Nel programma elettorale, il partito Tory aveva promesso un “processo di rinegoziazione” dei termini di adesione della Gran Bretagna, sottolineando in particolare la volontà di arrivare a dei “limiti” per l’accesso al welfare dei cittadini Ue nei primi due anni di residenza in Gran Bretagna, per lottare contro quello che viene definito con disprezzo il “turismo sociale”, di cui sarebbero adepti in particolare i migranti dall’est europeo (ma non solo). Cameron vuole ottenere una limitazione nella libera circolazione dei cittadini nella Ue, per frenare l’immigrazione (in campagna elettorale ha rifiutato categoricamente di accettare dei naufraghi degli sbarchi in Italia). Londra vuole anche un’accelerazione del mercato interno, l’unico aspetto della Ue che interessa la City. E vorrà ottenere un maggiore potere dei parlamenti nazionali, per poter bloccare iniziative di Bruxelles, considerate troppo intrusive per la sovranità nazionale.

La decisione sul referendum verrà presa nella “prima sessione del prossimo parlamento” ha precisato Cameron. Il premier, che in linea di principio dovrebbe fare campagna per mantenere la Gran Bretagna nella Ue, deciderà pero’ quale posizione prendere in base ai risultati della “rinegoziazione” con Bruxelles. Cameron vuole rivedere i trattati: una mossa che i partner e la Commissione rigettano, per il momento. Né la Germania né la Francia, che nel 2017 andranno anch’esse alle urne, possono permettersi di aprire il vaso di Pandora di una discussione sul contenuto dei Trattati, mentre anche in questi paesi cresce l’euroscetticismo. Ma Cameron arriva oggi più forte in Europa, grazie alla chiara vittoria elettorale. E’ facile immaginare che Cameron negozierà con decisione anche perché, in patria, è preso nella morsa degli euroscettici: una ampia fetta del partito Tory, che non gli perdonerà cedimenti, e la pressione esterna dell’Ukip, ormai il terzo partito con il 13% dei voti, la cui ragion d’essere è la lotta contro l’Ue in base all’equivalenza Europa=immigrazione. I LibDem, decimati, non potranno più svolgere un ruolo di moderazione pro-europea come alleati dei Tories. Bisognerà vedere come agirà la City, a cui interessa solo una parte della costruzione europea, quella che liberalizza il mondo degli affari. Un freno a una troppo forte intransigenza potrebbe venire pero’ dal successo elettorale dello Scottish National Party, che minaccia un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia – più a sinistra e più filoeuropea – in caso di Brexit, per poter rientrare poi nella Ue. Una prospettiva estremamente complicata per Bruxelles, un vero rompicapo, visto che i Trattati non dicono nulla su un caso del genere (e potrebbe aprire un baratro anche per altre nazioni, a cominciare dalla Spagna, con la Catalogna in imboscata).

La Gran Bretagna esce da un periodo di debolezza e di isolamento in Europa. Cameron aveva frenato su ogni passo verso l’approfondimento dei legami. Aveva cercato di mettere i bastoni tra le ruote dell’elezione di Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione, perché il lussemburghese è giudicato troppo federalista a Londra. Ma aveva dovuto cedere. La Gran Bretagna, inoltre, era isolata sul fronte diplomatico, assente per esempio dalle riunioni in “formato Normandia” sulla crisi ucraina. Ma oggi Cameron fa irruzione al centro della Ue, con la bomba della minaccia di un Brexit. Nei prossimi due anni, la questione britannica sarà in testa dell’agenda di Bruxelles.