Un vento nuovo soffia da nord a sud del Paese. Forte, inarrestabile e impossibile da ignorare, nonostante i tentativi del governo e della stampa schierata di bollare le manifestazioni di massa che dilagano in Brasile da oltre una settimana come un semplice pretesto per creare disordini e destabilizzare l’attuale sistema politico. Se c’è uno slogan che rende perfettamente l’idea di quanto stia accadendo nel Paese più grande del Sudamerica è quello che campeggia nei cartelloni apparsi per le strade e persino all’interno degli stadi che stanno facendo da palcoscenico alla Confederations Cup: «Il gigante si è svegliato».
«Inizialmente, i principali mezzi d’informazione hanno dipinto i manifestanti come vandali che andavano repressi. Evidentemente non si aspettavano che il movimento di protesta assumesse simili proporzioni», sostiene Laurindo Lalo Leal Filho, sociologo, docente di giornalismo all’Università pubblica di San Paolo (USP) ed editorialista del portale Carta Maior. Secondo Lalo Leal, «la repressione della polizia nei confronti degli attivisti del movimento Passe Livre ha fatto riversare per strada milioni di persone, scatenando la rivolta sociale». Negli ultimi giorni, anche i grandi gruppi editoriali vicini al Governo hanno dovuto correggere il tiro. Tanto Tv Globo quanto Estadão hanno iniziato ad analizzare in maniera analitica le ragioni della protesta generalizzata, e dalle colonne di Folha de Sao Paulo, non certo un quotidiano di sinistra, l’editorialista Valdo Cruz ha ammesso che «una grande porzione della società ha trovato la chiave per mettere in crisi i detentori del potere. La forza della mobilitazione sociale, organizzata attraverso internet e i social network, sta mettendo in scacco i gruppi di potere che hanno dominato fino ad oggi».

Dalle parole di Bruno Lavocá Cintra, uno dei leader del movimento di protesta che ha invaso le strade di Rio de Janeiro, si capisce che le rivendicazioni vanno ben oltre l’abbattimento delle tariffe di bus, treni e metro. «Vogliamo cambiare questo Paese da cima a fondo, dicendo basta all’esercizio esclusivo del potere che è nelle mani di pochi mentre la gente non ha nessuna voce in capitolo. Puntiamo a una rivoluzione dell’attuale sistema politico manovrato da un ristretto gruppo di potenti, che fanno esclusivamente i loro interessi a discapito di una popolazione che soffre l’indice di miseria più alto del Continente», reclama Lavocá Cintra davanti alla casa del governatore dello Stato di Rio de Janeiro, Sergio Cabral, dove gli attivisti si sono accampati per quattro giorni.
Mentre la presidente Dilma Rousseff si riunisce con i governatori e i prefetti delle principali città per dare forma all’annunciato piano d’emergenza dei trasporti pubblici, le manifestazioni popolari non accennano a diminuire, con il chiaro scopo di ottenere cambiamenti e riforme radicali. Per Edmar Bacha, uno dei più rispettati economisti brasiliani, «il governo deve smetterla con i palliativi. Per combattere il problema dell’endemica povertà che affligge il Brasile bisogna prima di tutto trovare una soluzione per arrestare l’inflazione galoppante, oggi intorno al 30% annuo». Secondo Bacha, che negli anni ’80 non esitò a chiamarsi fuori dal governo di José Sarney dopo il tentativo di manipolare i dati dell’inflazione, «bisognerebbe pensare a una radicale riforma del sistema contributivo, regolando la pressione fiscale in relazione alle fasce di reddito». In parole povere, in un Paese in cui oltre metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e oltre 20 milioni di persone tirano avanti con un salario minimo pari a 230 euro al mese, secondo gli ultimi dati del Departamento Intersindical de Estatística e Estudos Socioeconômicos (Dieese), dovrebbero essere i ricchi e i benestanti a contribuire alla riduzione delle diseguaglianze. Secondo Eduardo Bonfim, avvocato e membro del comitato centrale del Partito Comunista brasiliano (Pcb), «questo è il Paese che possiede la seconda maggior flotta di elicotteri privati al mondo mentre decine di milioni di persone sono confinate nelle favelas, e i brasiliani stanno dimostrando di non essere più disposti ad accettare una simile situazione».