In Brasile molti lo definiscono senza mezze misure «un golpe». Basta ricordare, due anni fa, l’equipe del film Aquarius ( di Kleber Mendonça Filho) salire le «marches» del tappeto rosso di Cannes agitando i cartelli «Noi siamo con Dilma».

 

 

Parliamo dell’impeachment di Dilma Rousseff, eletta per la seconda volta presidente del Brasile nel 2014 che dopo l’accusa di aver truccato il bilancio dello Stato dello stesso anno, è stata sospesa dalle sue funzioni a maggio del 2016 e il 31 agosto con 61 voti a favore e 20 contrari è stata destituita dal suo incarico – al suo posto si è insediato il vice Michel Temer, ora trentasettesimo presidente della Repubblica.

 

 

Dice Maria Augusta Ramos, regista brasiliano-olandese: «Spero che il mio film diventi un documento storico negli anni a venire in grado di aiutare la gente a capire meglio cosa è accaduto in Brasile. Naturalmente non si tratta di una versione dei fatti ’oggettiva’, ma nessun film o documentario lo è. Si tratta della mia visione in termini cinematografici di quanto ho vissuto nei sei mesi che racconto. Come nei miei film precedenti ho cercato di costruire una riflessione sulle cose in modo da fornire al pubblico una quantità sufficiente di informazioni tale da permettere di farsi una propria opinione considerando il massimo degli argomenti possibili».

 

 

Il film in questione è Il processo (a Berlino era nella sezione Panorama), che ha vinto il concorso internazionale di Visions du Réel – nel concorso nazionale è stato premiato Chaco di Daniele Incalcaterra – il festival svizzero dedicato al documentario che si è chiuso ieri. Un titolo questo forse meno «sintonizzato» con la ricerca narrativa che attraversava l’edizione, con film in cui spesso il confronto col mondo passa attraverso il vissuto personale – seppure distanziato nella messinscena – o la presenza dell’autore all’interno del racconto – come accade in Touch Me Not di Adina Pintilie o in Los fantasmas del Caribe di Felipe Monroy.

 

 

Una linea che arriva fino al vincitore (molto discutibile) del nuovo concorso Burning Light – The Still Life of Harley Prosper – dialogo davanti e dietro alla macchina da presa tra il regista e Harley alcolista terminale di cui l’autore, Luis Manuel Sepilveda, riprende deliri e fantasmi del suo èprotagonista, l’Harley del titolo – ma: basta mettersi al riparo «eticamente» con la domanda: «vado avanti a filmarti? ».
Maria Augusta Ramos aveva già conquistato il Grand Prix a nyon col precedente Justice, un’ indagine sul sistema giudiziario in Brasile di cui Il processo sembra essere un po’ un ideale svolgimento – la regista ha pensato a una trilogia sull’argomento.

 

 

Finanziato inizialmente con un crowdfunding per garantirsi una totale indipendenza, il film a partire dal caso specifico, le accuse e il processo a Rousseff, si avventura nelle zone sensibili della politica, dell’economia, della società brasiliane, sollevando gli stessi interrogativi che in questi giorni ha aperto l’arresto di Lula, condannato e arrestato per corruzione e riciclaggio nell’inchiesta sulle tangenti e i fondi neri della compagnia petrolifera Petrobas – la cosiddetta inchiesta Lama Jato che coinvolge anche l’attuale presidente e il principale accusatore di Rousseff, Eduardo Cunha, conservatore e ultraevangelico, che ne aveva autorizzato la messa in accusa, condannato ora a 15 anni.

 

 

Rousseff, figlia di un immigrato bulgaro, prima donna eletta alla presidenza in Brasile col Partito dei Lavoratori (lo stesso appunto di Lula), è figura di primo piano nella lotta contro la dittatura militare, arrestata e torturata negli anni tra il 1970 e il 1972, diviene l’espressione di una conquista della democrazia nel Paese.

 

 

Ramos prova a capire cosa ha portato fin lì, fino a quel processo, e lo fa con gli strumenti del cinema, all’interno di una immagine «processuale» che mantiene con precisione in equilibrio ipotesi, fatti, un punto di vista dichiarato ma non imposto che lavora sulla relazione fra esterno e interno. Nell’aula la ex-presidente si dichiara innocente e accusa la destra – per primo il suo vice Temer – di mettere in atto un colpo di stato. Nei corridoi del tribunale si intrecciano alleanze, interessi, opportunismi, fuori, tra le architetture del potere di Brasilia le manifestazioni di chi chiede la destituzione di Rousseff si alternano a quelle ai suoi sostenitori. Ciò che affiora è la fisionomia di un sistema politico, e di un Paese che Ramos interroga insieme ai suoi spettatori.