Elementi secondari – partite di calcio del campionato italiano, viaggi e cooperazioni mediatiche – e accordi per quanto riguarda i porti (Trieste e Genova), cooperazioni nel settore assicurativo, partnership finanziarie tra Cassa depositi e prestiti ed Eni con Bank of China. I primi sono stati resi noti ieri, i secondi saranno firmati stamattina.

È questo il «bottino» della visita di Xi Jinping a Roma: c’è molto meno di quanto si era previsto (si parlava di 20 accordi commerciali e 19 istituzionali: i primi si sono dimezzati) e alcune partnership saranno da sottoporre a controlli e scrutini ulteriori (come quelli legati ad Ansaldo).

Ma questa rinnovata amicizia e vicinanza tra Cina e Italia è da leggersi, specialmente per la Cina, come un passo politico rilevante. Pechino è nel mezzo di uno scontro sui dazi con gli Usa che in realtà nasconde una sfida per la futura supremazia tecnologica, deve tenere a bada l’Unione europea pressata da Washington che vuole terra bruciata intorno al colosso Huawei e fronteggia una situazione economica problematica con la crescita assestata sui ritmi più bassi da trent’anni.

In Cina si è presentata con grande enfasi questa tappa europea del numero uno Xi Jinping, in carica come presidente della Repubblica popolare dal 2013, dando grande rilevanza all’impatto politico della firma italiana per quanto concerne la Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative).

Come al solito la posizione cinese è piuttosto pragmatica: negli articoli della stampa nazionale, analisti ed editorialisti hanno messo in evidenza che tra Cina e Italia è Roma ad avere per lo più bisogno dei cinesi. Due giorni prima dell’arrivo di Xi e la moglie Peng Liyuan in Italia giovedì sera, il quotidiano nazionalista Global Times, costola dell’ufficiale Quotidiano del Popolo, non aveva fatto sconti: l’Italia, è stato scritto, ha grandi problemi economici e ha bisogno dei soldi cinesi. In cambio la Cina utilizza la firma del Mou come uno strumento politico, trattandosi pur sempre di un accordo, il primo, con uno dei paesi del G7.

Da parte italiana, quello che a oggi è un esito meno elettrizzante di quanto ci si aspettasse (nonostante l’entusiasmo di Di Maio per l’arrivo delle arance italiane sulle bancarelle dei fruttivendoli cinesi), è il risultato di una confusione che con il passare dei giorni si è fatta sempre più evidente.

Roma accoglie il leader di Pechino (Foto: Afp)

 

Dall’annuncio del memorandum di intesa sulla Via della Seta (la cui firma sarà ufficializzata oggi dal presidente del consiglio Giuseppe Conte e da Xi Jinping, prima che il leader cinese vada a Palermo, sul cui porto e sull’eventuale interesse cinese regna ancora incertezza) al Business Forum di ieri, nel quale le componenti affaristiche si sono confrontate, si è passati dalla spavalderia di procedere a un accordo senza preoccuparsi di americani ed europei allo sbianchettamento dal documento di tutti gli argomenti più spinosi.

Secondo il premier Conte l’accordo sarebbe invece un esempio che dovrebbero seguire tutti i paesi della Ue: il vertice del 26 tra Xi, Macron e Merkel, dimostra che l’Italia a quel tavolo non è prevista, in realtà.

È diventato dunque importante l’incontro al Quirinale avuto ieri dal presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella e Xi Jinping, trasmesso in diretta televisiva anche in Cina. «La cooperazione tra Italia e Cina sarà rafforzata con intese commerciali», ha detto Mattarella e «la firma del Memorandum è cornice ideale per imprese italiane e cinesi», specificando che la Via della Seta «è una strada a doppio senso» e annunciando che «il 2020 sarà l’anno culturale e del turismo tra Italia e Cina».

Il presidente italiano aveva già fatto sentire il proprio peso la scorsa settimana; l’attuale strategia è la «dottrina Mattarella»: apertura e disponibilità ma la certezza di rimanere un paese atlantico e desideroso di confrontarsi con un gigante come quello cinese insieme ai partner europei. Si tratta di una posizione che l’attuale governo ha dovuto bene o male accettare anche perché, come su tanti altri dossier, anche in questo caso si è trovato spaccato.

Mentre Conte annunciava la firma dell’accordo, il leghista Giorgetti era negli Usa. Casualmente il giorno dopo gli Stati uniti hanno tuonato contro l’eccessiva predisposizione italiana nei confronti di Pechino. Poi è arrivato Salvini a chiarire che non sarebbe stato firmato nessun trattato per quanto riguarda le telecomunicazioni (l’argomento più indigesto a Washington) e per annunciare che non sarebbe stato presente alla cena di ieri sera in onore del presidente cinese (è andato in Basilicata, a fare campagna elettorale).

Proprio la posizione della Lega sarà interessante alla luce degli accordi che firmeranno oggi: sulla questione dei porti infatti potrebbe partire un nuovo confronto tra le attuali forze di governo.