Una zattera verde in un mare di risaie. Il Bosco delle Sorti della Partecipanza, nel comune di Trino Vercellese, è l’ultimo residuo di foresta planiziale sopravvissuto dal Medioevo ai giorni nostri nell’intensamente coltivata pianura padana. Questo, grazie a una solidale e rigorosa gestione collettiva basata su rigide e antiche regole che risalgono a quando nel XIII secolo Bonifacio I, marchese del Monferrato, fece una donazione ai «partecipanti», ovvero alle famiglie trinesi che partecipavano alla gestione e al reddito del bosco. Attualmente i soci sono circa 800, un tempo erano di più (se ne contavano 1376 nel 1999). Nel 1991 è diventato Parco naturale regionale; tale trasformazione ha permesso l’attuazione di piani forestali che coniugano la funzione paesaggistica, didattica e scientifica del luogo con la continuità della tradizione.
IN TUTTO SONO SEICENTO ETTARI DI biodiversità, circondati dal Rio Sanguinolento e dal Rio d’Oro: querce, mughetti, narcisi, olmi, farnie, frassini, sambuchi, ontani, popolati da aironi, nitticore, garzette, poiane, volpi, picchi, anfibi e ghiandaie. I Partecipanti usufruiscono ogni anno di una porzione di legno ceduo, secondo un regolamento vecchio di secoli. Una delle quindici prese – le zone in cui è suddiviso il bosco – cade, infatti, in turno di taglio e viene suddivisa in un determinato numero di aree minori dette «sorti» o «punti». Ciascun punto è poi ulteriormente diviso in quattro parti, «quartaroli». Sarà la sorte – ecco perché il bosco è detto «delle Sorti» – la prima domenica di novembre (quest’anno anticipata al 28 ottobre), a decidere in quale zona ciascun socio avrà diritto di abbattere uno o due «quartaroli» di ceduo. La riunione inizia sempre con il discorso del Primo Conservatore, che illustra lo stato di salute del bosco e fa un bilancio delle attività associative.
IL SORTEGGIO SUCCESSIVO AFFOLLA il cortile della sede del Parco di via Vercelli 3. Arrivano trinesi, emigrati e non, figli e nipoti. Il diritto di successione alla sorte dal 2014 non fa più distinzione di genere: «È trasmesso da padre o madre partecipante ai figli, siano essi maschi o femmine, senza alcuna esclusione con parità di privilegi e obblighi verso la Partecipanza». A ogni «punto» è assegnato un numero, i Partecipanti estraggono uno dei «punti» da tagliare, salvaguardandone alcune parti per incrementare il patrimonio naturale. La gestione del bosco è regolata da un piano forestale aziendale che si propone di custodire la biodiversità con la produzione di legname e l’accoglienza dei turisti ambientali. A tal fine la Cascina Guglielmina, struttura colonica del 1902, è stata ristrutturata nel 2005, diventando la principale struttura ricettiva per gruppi, famiglie e scuole che vogliono immergersi nel verde o svolgere attività ricreative, didattiche o sportive, come il nordic wolking.
«La comunanza di interessi e l’amministrazione collettiva sono stati sufficienti a tutelare la Partecipanza dalla speculazione agricola che segnò la fine di tutta la vasta area boschiva del Basso Vercellese», sottolinea Bruno Ferrarotti, già primo conservatore del bosco e storico locale. Primo aspetto da ricordare, che servì a proteggerla già in epoca romana, fu che la selva era parte del «Lucus Dei», bosco sacro alla divinità, probabilmente Apollo, e luogo di culto; in seguito, nonostante bonifiche e disboscamenti, l’insieme di persone, divenute proprietarie per concessione marchionale del 1275, sorvegliarono l’area verde e la tramandarono ai posteri fino a oggi. Attualmente, l’ente gestore del Bosco è il Parco fluviale del Po tratto vercellese-alessandrino, ma la Partecipanza «ha mantenuto la sua autonomia».
SI TRATTA DELL’UNICO E ATTIVO patrimonio di Comunità esistente in Piemonte. L’ultimo decennio non è, però stato facile per la riserva naturale. «Per sei anni non abbiamo ricevuto finanziamenti regionali. Ed è stato difficile sopravvivere», spiega Ivano Ferrarotti, attuale primo conservatore. Il momento più duro è stato quello del governo Cota «che attuò una penalizzazione dei territori», aggiunge Bruno. «Una vicenda paradossale se si pensa che uno dei riferimenti culturali dei leghisti è il federalista Carlo Cattaneo, che sosteneva la proprietà collettiva per valorizzare l’autonomia dei territori».
I fondi sono stati reintrodotti con la giunta Chiamparino ma la potenzialità e l’importanza dei parchi non è stata colta per intero: «Le amministrazioni regionali non comprendono la valenza pubblica del Bosco. Noi non vogliamo né chiuderci né cintare, il parco è un diritto e un bene di tutti. Offre ossigeno in un territorio dove i polmoni verdi sono stati tutti disboscati e prevale la monocoltura», conclude Bruno Ferrarotti.
IL PARCO E’ GEMELLATO CON LE RISERVE des Cascades de Banfora in Burkina Faso. E tutela anche le limitrofe grange di Lucedio e Montarolo, eredità dei monaci cistercensi (giunti nel Vercellese nel 1123). Proprio sulla costa di Montarolo, la contiguità tra bosco e risaia ha favorito l’insediamento di una ormai storica garzaia con diverse specie di aironi, dal cinerino al guardabuoi fino a quello rosso, specie schiva difficile da osservare. Si possono scorgere nelle zone di palude l’ibis e il tarabusino. Tra il 1994 e il 2014, grazie anche a finanziamenti europei, sono stati realizzati 36 ettari di rimboschimenti in aeree prima coltivate a risaia o pioppeto ai margini del bosco, con lo scopo di ricostruire porzioni della foresta planiziale, che ricopriva nell’antichità tutta la pianura. La «sorte», a Trino, continuerà a girare.