In evidente difficoltà sul piano interno, Bolsonaro prova a rompere l’isolamento internazionale cambiando i toni – non la sostanza – in materia climatica e ambientale. Illudendosi che il mondo si accontenti. 

Così, nel suo discorso durante il Vertice sul clima promosso da Biden, Bolsonaro ha descritto il Brasile come un paese all’avanguardia nella lotta contro il riscaldamento globale, promettendo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050 – addirittura con un anticipo di dieci anni – e l’eliminazione della deforestazione illegale entro il 2030. «Ho disposto – ha assicurato – il rafforzamento degli organismi ambientali, duplicando le risorse per le azioni di controllo». 

Niente di più falso, ovviamente. Ma tutto molto utile per battere cassa con la comunità internazionale, chiedendo – dinanzi alla «grande quantità di ostacoli, incluso quello finanziario» presenti sul cammino della preservazione e dello «sviluppo sostenibile» dell’Amazzonia – «una giusta remunerazione» per i «servizi ambientali» prestati dal Brasile. «È fondamentale – ha evidenziato – poter contare sul contributo di paesi, imprese ed entità disposte a operare in maniera immediata, reale e costruttiva nella soluzione di questi problemi». 

Ma le promesse di Bolsonaro – anticipate anche nella sua lettera a Biden in vista del Vertice sul clima – non saranno sufficienti a superare il profondo scetticismo della comunità internazionale e della stessa amministrazione Usa. Non a caso, l’inviato speciale degli Stati uniti per il clima John Kerry aveva risposto in maniera assai prudente all’amichevole lettera del presidente brasiliano, definendo «importante» il suo contenuto, ma evidenziando la necessità di impegni reali: «Ci attendiamo misure immediate e un dialogo con le popolazioni indigene e la società civile per fare in modo che questo annuncio si traduca in risultati concreti».

Ma l’unica cosa concreta al riguardo a cui mira Bolsonaro sono soldi, non certo risultati, come indicano tutti gli ultimi passi compiuti dal suo governo, dalla presentazione al Congresso di una legge di bilancio che presenta il minor livello di finanziamento degli ultimi venti anni al sistema di protezione ambientale fino al sostegno a un progetto di legge che punta a legalizzare l’attività mineraria all’interno dei territori indigeni. 

Si comprende bene allora la preoccupazione espressa da più parti nei confronti dei negoziati a porte chiuse che si sono svolti nelle ultime settimane tra l’amministrazione Biden e il governo Bolsonaro attorno a un possibile accordo miliardario con il Brasile in cambio di un reale (o presunto tale) impegno per la preservazione dell’Amazzonia. Esattamente ciò che il leader indigeno di fama internazionale Raoni Metutkire chiede a Biden di non fare, mettendolo in guardia dalle «tante menzogne» di Bolsonaro: «Se questo pessimo presidente intende parlarle, lo ignori. Il suo scopo è consentire la deforestazione, favorendo le invasioni delle nostre terre». 

Ma sui negoziati tra le due amministrazioni sono piovute critiche da ogni parte, sia in Brasile che negli Usa: «Non è ragionevole attendersi che delle soluzioni per l’Amazzonia e per i suoi popoli arrivino da negoziati svolti a porte chiuse con il tuo peggior avversario», hanno scritto per esempio, in una lettera a Biden, circa 200 esperti e attivisti della società civile. E lo stesso ha fatto l’Apib (Articulação dos Povos Indígenas do Brasil), chiedendo al presidente degli Stati uniti di dimostrare «da che parte stia»: «Non consenta a quest’uomo di negoziare il futuro dell’Amazzonia». 

E a scrivere a Biden sono stati, tra gli altri, anche un gruppo di senatori democratici, tra cui Bernie Sanders, e un gruppo di 36 artisti brasiliani e statunitensi (da Caetano Veloso e Sonia Braga a Leonardo DiCaprio e Kate Perry), entrambi decisi a scoraggiare qualsiasi accordo con Bolsonaro finché non vengano adottati provvedimenti significativi rispetto alla deforestazione – che sotto il suo governo, solo tra l’agosto del 2019 e il luglio del 2020, ha cancellato ogni giorno una superficie equivalente a 4.300 campi di calcio -, al rispetto dei diritti dei popoli indigeni e alla partecipazione della società civile.