La fertilità dei terreni agricoli è fortemente compromessa in vaste aree del pianeta a causa dell’inquinamento del suolo. In molte zone i livelli di contaminazione sono così elevati da non consentire la produzione di alimenti. La lotta all’inquinamento, il recupero e la conservazione della fertilità sono i temi che vengono portati all’attenzione nella «Giornata mondiale del suolo» di quest’anno (ieri). Negli ultimi decenni l’attenzione è stata rivolta, soprattutto, all’inquinamento dell’aria e dell’acqua. Il suolo ha goduto di una minore considerazione da questo punto di vista, perché è minore la visibilità e la percezione dei processi di contaminazione in atto.

IN REALTA’ SIAMO DI FRONTE A UN PERICOLO nascosto e sono i terreni agricoli a pagare il prezzo più alto perché l’inquinamento cambia l’equilibrio chimico, fisico e biologico del suolo. Secondo la Fao «l’inquinamento del suolo rappresenta una preoccupante minaccia per la produttività agricola, la sicurezza alimentare, la salute umana». Prodotti chimici, materiali tossici, agenti patogeni si accumulano nel corso degli anni sui terreni destinati a produrre alimenti, determinando una alterazione dell’equilibrio biologico dei microrganismi presenti nel suolo. Le sostanze inquinanti, inoltre, entrano nella catena alimentare attraverso le piante coltivate. Gli studi su questi processi sono ancora parziali e non sempre riescono a rappresentare il fenomeno in tutta la sua gravità ed estensione. Sappiamo che le funzioni ecologiche e biologiche subiscono gravi alterazioni quando il suolo è contaminato. Ma quale è il «livello di sopportazione» di un terreno agricolo sottoposto all’azione degli agenti tossici e inquinanti? In che misura un suolo inquinato è in grado di rigenerarsi?

NON ESISTONO, AD ESEMPIO, STUDI scientifici in grado di spiegare come si comportano le materie plastiche quando si accumulano nei suoli agricoli, le trasformazioni che subiscono, la loro interazione con i microrganismi e le piante. I dati europei disponibili, riferiti ai territori oggetto di indagine, mettono in evidenza gli elevati livelli di contaminazione chimica dei suoli. Si registra una media di 6 siti contaminati ogni 10 mila abitanti, ma in alcune aree si arriva fino a 42 siti interessati da fenomeni di contaminazione ogni 10 mila abitanti. Si calcola che attualmente in Europa siano almeno 500 mila i siti che necessitano di essere bonificati. Il 53% di questi siti è contaminato prevalentemente da idrocarburi, mentre nel 35% dei casi la principale fonte di contaminazione è rappresentata da metalli pesanti (cromo, arsenico, mercurio, piombo, nichel). Nella maggior parte dei suoli contaminati si registra la presenza sia di idrocarburi che di metalli pesanti, con la conseguenza di sommare i loro effetti sull’ambiente. Sono soprattutto gli idrocarburi aromatici, derivati del benzene, a rappresentare, per le loro caratteristiche chimiche, il pericolo maggiore. Questa categoria di idrocarburi è utilizzata come materia prima per la sintesi di materie plastiche, antiparassitari, detersivi, coloranti, prodotti farmaceutici, solventi, fibre sintetiche. Nei terreni agricoli si riscontra la presenza di questo vasto campionario di sostanze inquinanti. Nelle aree di agricoltura intensiva, dove si ricorre ad un massiccio impiego di fertilizzanti sintetici e pesticidi, la situazione è ancora più grave. E poi c’è la «questione fanghi». Si è legalizzata la possibilità di spandere sui terreni agricoli i fanghi che derivano dalla depurazione delle acque civili e industriali. Questi fanghi contengono elevate concentrazioni di idrocarburi e metalli pesanti e in alcune aree agricole sono diventati la principale causa di inquinamento. Il governo italiano ha trovato un posto anche per i fanghi nel «decreto Genova» che doveva affrontare l’emergenza dovuta al crollo del ponte Morandi, alzando di 20 volte il limite massimo di idrocarburi che essi possono contenere. Dal 2006 questo limite era di 50 milligrammi per chilo di sostanza secca. Il decreto consente adesso di arrivare a 1000 milligrammi per Kg. La giunta regionale lombarda in una delibera del 2017 aveva cercato di fare peggio, autorizzando a spargere fanghi con un contenuto fino a 10 mila milligrammi di idrocarburi per Kg di sostanza secca.

IL LIMITE CONSENTITO VENIVA AUMENTATO di ben 200 volte, un record mondiale, trasformando di fatto i terreni agricoli lombardi in vere e proprie discariche. Una sentenza del Tar della Lombardia nel luglio di quest’anno ha bloccato lo scempio. A questo punto è arrivato l’intervento del governo per aumentare i limiti e consentire di spargere fanghi con un livello di tossicità più elevato. L’Italia, oltre ad essere il paese europeo che fa più uso di fertilizzanti sintetici e pesticidi, adesso detiene anche il primato per la quantità di fanghi tossici che vengono sparsi nei campi. Ma in ambito scientifico si fa sempre più strada la consapevolezza che la gestione dei suoli agricoli rappresenti una questione centrale. Nel suolo è presente il 90% della biodiversità totale del pianeta. Batteri e funghi costituiscono la parte prevalente della biomassa del suolo, regolano tutti i processi biochimici che si svolgono al suo interno, determinano la formazione della sostanza organica da cui dipende la fertilità. Una «vita invisibile» di fondamentale importanza per la vita del pianeta.

LE CONOSCENZE CHE ABBIAMO ACQUISITO sulle comunità microbiche sono alla base di numerosi progetti di ricerca mirati a comprendere gli effetti che l’inquinamento produce sui microrganismi e sulla fertilità del suolo. Ma la ricerca ha anche permesso di comprendere che è possibile utilizzare la naturale attività biologica dei microrganismi per eliminare o rendere innocui gli inquinanti. Ed è questa la novità importante: i batteri e i funghi possono essere preziosi alleati per contrastare l’inquinamento dei suoli. Nel suolo batteri e funghi coesistono ed interagiscono. I progetti in corso mirano a valorizzare la loro attività combinata per il risanamento dei suoli agricoli. Molte categorie di microrganismi possono utilizzare le sostanze inquinanti come fonte di nutrimento e di energia, rimuovendo o trasformando le sostanze tossiche come idrocarburi, metalli, pesticidi, solventi. Siamo in presenza di una attività biodegradativa e di bonifica biologica a cui viene dato il nome di «biorisanamento». In questi ultimi anni le tecniche di monitoraggio ambientale hanno fatto notevoli progressi che ci consentono di sviluppare tecniche di biorisanamento sempre più efficaci. Una volta individuati gli inquinanti presenti nel suolo, si procede alla individuazione degli organismi biodegradatori specifici, favorendo la loro crescita. Sono stati messi a punto processi di biorisanamento con l’impiego di batteri in grado di mineralizzare le sostanze inquinanti o trasformarle in altre sostanze che possono essere utilizzate da altri organismi fino alla completa degradazione. In particolare, gli inquinanti organici vengono mineralizzati o trasformati in sostanze non tossiche e biodegradabili, mentre gli inquinanti inorganici (metalli pesanti) vengono resi meno mobili e meno tossici. Questo processo di rigenerazione del suolo, svolto da batteri e funghi, viene completato da piante non destinate all’alimentazione umana e che hanno specifiche capacità di estrazione degli inquinanti dal suolo. Le piante che hanno mostrato elevate capacità di assorbimento degli inquinanti sono canapa, pioppo, salice, canna comune.

LA CANNABIS SATIVA, IN PARTICOLARE, è la pianta che svolge meglio questo compito perché ha elevate capacità di fitoestrazione, tollera elevate concentrazioni di metalli pesanti, ha basse emissioni di gas ad effetto serra. La sua attività di risanamento consente di bonificare terreni contaminati, per poi essere utilizzata nel campo tessile, per la produzione di carta, la produzione di particolari mattoni da impiegare nel campo della bioedilizia.