Mentre l’Italia si interroga sull’arroganza di quattro cretini che hanno ridicolizzato un loro docente, assisto a una scena che fa capire come potrebbero essere gli adolescenti di domani e quali problemi potrebbero arrecare alla società del futuro. Il tutto si svolge in un bar pasticceria milanese elegante e frequentato da famigliole della nuova borghesia amodino/apostino e che un mio cinico amico chiamerebbe fighetti da salotto.
A un certo punto entra un padre preceduto dal figlio di circa quattro anni. Il bambino avanza sicuro e, quando il padre gli chiede dove voglia sedersi, quello, indicando il trespolo accanto al mio, risponde a voce altissima: «Qui, in mezzo, così controllo tutto». La postazione, che si trova all’estremità del bancone del bar, in effetti permette un colpo d’occhio globale su caffetteria, vetrine lavoranti, ingresso e tavolini. L’infante ha una tale sicurezza e istinto al comando che io e un altro avventore ci scambiamo un’occhiata eloquente, come a dirci «Accidenti, così piccolo e già così comandino». Mentre tento di isolarmi nella lettura del mio quotidiano, non posso non sentire la conversazione fra questo generante e suo figlio.

Il padre, all’apparenza, corrisponde al modello di genitore perfetto che ascolta, spiega, dialoga e non reprime. In realtà è un adulto prono e adorante che, e qui sta la parte peggiore, esibisce con malcelato compiacimento il suo ruolo e il suo prodotto biologico, come se volesse mettersi in scena e far notare quanto è bravo lui e quanto è meraviglioso suo figlio. Il loro dialogo ha un che di stucchevole. «Che brioche vuoi?». «Quella gialla». «Ma sei sicuro che ti piace?». «Sì». «Ma tu di solito prendi quella con la marmellata e non so se lì c’è».«Voglio quella gialla». Quando la sfogliatella arriva, il giallo si rivela un petalo di rosa che viene così liquidato dall’infante: «Questo è un fiore?». «Sì». . Il padre, invece di dirgli «L’hai voluto e adesso lo mangi», prende il petalo e lo mette da parte.

Intanto il bambino sgranocchia, si guarda attorno e chiede, sempre a voce sforante: «Chi è quella?», indicando una signora. Il padre, anziché dirgli che Quella è un epiteto poco gentile e, casomai, bisognerebbe attaccarci un Signora, gli spiega che è la madre di una bambina che hanno incontrato in piscina, che ha un negozio di calzature e che dopo potrebbero passare da lei a comprare un paio di scarpe, se lui vuole, non perché ce ne sia davvero bisogno, ma per sfizio, e avanti con una serie di salamelecchi suoi e dei baristi che ruotano tutti attorno al bambino e alle sue esigenze, come se fosse un piccolo sovrano di fronte al quale è doveroso genuflettersi, e infatti il padre a un certo punto gli dice «Tu sei unico. Tu sei speciale». Il colmo si raggiunge quando un’altra bambina riporta al banco il proprio bicchiere e uno dei camerieri le dice «Grazie Giacomino», dando per scontato che un gesto così gentile possa venire solo dal pargolo intronato.

Il mestiere di genitore è il più difficile al mondo e tutti abbiamo sbagliato, ma se è delittuoso tarpare la creatività dei bambini, lo è altrettanto trasformarli in piccoli signori di tutto e di tutti. Il giorno in cui Giacomino incontrerà qualcuno che vuole la stessa sedia che ha scelto lui, o che non lo metterà al centro dell’attenzione, dovrà fare i conti con l’alterità. Ma non vorrei essere nei panni di quell’insegnante che, speriamo di no, dovesse dire a suo padre che Giacomino non è il primo della classe, perché sono quasi certa che la colpa ricadrà sul docente, ovviamente non all’altezza di cotanto figlio.

mariangela.mianiti@gmail.com