Il tema del benessere animale non è l’unico quando si parla di allevamenti. Se consideriamo gli studi sull’impronta ecologica, questo settore viene considerato uno dei più impattanti sull’ambiente. A livello di emissioni ma anche per quantità di acqua e terra utilizzate, per produrre i mangimi. Il bestiame allevato per il latte e la carne rappresenta, secondo la Fao, il 65% del totale delle emissioni dell’intero settore dell’allevamento.

Per ridurre l’impatto ambientale è necessario gestire correttamente le deiezioni, come spiega la professoressa Marcella Guarino, del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano: «Le deiezioni devono essere allontanate, i liquami convogliati in un punto e trattati». L’operazione, sottolinea, deve essere rapida e costante per ridurre al minimo la superficie delle emissioni. Gli scarti possono essere trasformati in biogas.«In Italia non esiste un’unica norma per la gestione delle deiezioni, esistono buone pratiche, linee di indirizzo per la realizzazione di impianti di biogas» dice Guarino.

Le denunce di sversamenti illegali o di vasche non a norma, purtroppo, non mancano. I liquami contaminano il terreno e le acque. Queste violazioni sono state documentate dall’ex parlamentare Paolo Bernini, durante le indagini che ha condotto tra il 2013 e il 2018. L’Arpac, l’agenzia regionale per la protezione ambientale della regione Campania tra il 2014 e il 2017 ha analizzato suoli e acque reflue nei pressi delle aziende zootecniche. Nella provincia di Caserta, dove insieme a quella Salerno si concentrano il maggior numero di allevamenti bufalini, Arpac ha effettuato 74 controlli nell’arco dei 4 anni, di cui 60 su richiesta dell’autorità giudiziaria o di polizia. Dai controlli sono emersi risultati non conformi dal punto di vista amministrativo e sono state registrate ben 56 non conformità penali.

A regolare la quantità di azoto che può essere distribuito sul terreno sottoforma di letame è la Direttiva Nitrati. Secondo la norma europea nelle zone vulnerabili, quelle più vicine ai fiumi, non si possono distribuire più di 170 kg di azoto per ettaro, all’anno. Nelle altre zone si arriva a 340 kg per ettaro, che equivale a 4 animali per ettaro. «La Regione Campania viene assimilata, quasi interamente, a zona vulnerabile quindi gli allevatori che hanno molti animali o prendono in affitto dei terreni oppure devono ridurre il numero dei capi» spiega Giuseppe De Rosa dell’Università di Napoli. «La Regione Lombardia è da tempo in deroga perché ha più animali rispetto al carico di azoto che può smaltire» dice Marcella Guarino. E aggiunge: «Chi non riesce a stare dentro i numeri di legge deve fare dei trattamenti per trasformare l’azoto contenuto nei liquami in fertilizzante».

La docente sottolinea la mancanza di un’integrazione tra allevamento e agricoltura, in ottica di economia circolare: «Bisogna dare valore alle deiezioni, invece di usare concime di sintesi. Bisognerebbe incentivare l’uso del refluo zootecnico», sottolinea. «Le tecnologie per ridurre l’impatto ambientale esistono: ma hanno un costo».

Ad essere destinatari della campagna Una bufala tutta italiana, che denuncia anche l’impatto ambientale degli allevamenti, non sono solo le istituzioni e il comparto, ma anche i consumatori. «Essere più consapevoli dell’impatto delle nostre scelte alimentari sugli animali e sull’ambiente» è questo che chiede Animal Equality. L’organizzazione invita a ridurre i consumi: «Siamo abituati a consumare tutto, sempre: questo ha un costo» e aggiunge: «Ormai la mozzarella di bufala si trova nei mercati tutto l’anno». Non è più un prodotto di nicchia, regionale, viene esportato nel mondo e consumato in ogni stagione.