In seguito alla violenta tempesta che si è abbattuta sulle terre bellunesi nei primi giorni di settembre, il mais si è rovesciato all’istante, la canapa che coltiva Elisa Colle, dopo poche ore, era già tornata in piedi.

ELISA, AGRICOLTRICE DI ARSON, piccola frazione di Feltre, racconta così la sua esperienza nella coltivazione della canapa. «Quest’anno coltivo 8.000 metri quadri con Futura 75, una varietà che va molto bene per l’utilizzo alimentare. In quattro mesi non ho mai dovuto innaffiare o concimare il campo». Continua Elisa: «In molti sostengono che nel bellunese non ci sia la filiera della canapa, ma non è vero. C’è e sta a noi agricoltori irrobustirla conferendo il nostro raccolto ai trasformatori locali. Certo, potrei tranquillamente abbattere i costi finali mandando i miei semi più lontano, dove la lavorazione è qualcosa di più rodato, ma investire sul nostro territorio per me è un principio. Dobbiamo essere capaci di intraprendere scelte decise, coraggiose. Da queste piante produco olio e una farina senza glutine, ricca in proteine, che è un ottimo integratore alimentare. A pochi chilometri da casa ho trovato chi mi trasforma la farina in pasta, grissini e molti altri prodotti da forno. Le possibilità locali, se vogliamo, sono numerosissime».

POCO DISTANTI DAL SUO CAMPO, si trovano anche i terreni di alcuni agricoltori facenti parte del progetto Anonima Canapari Resilienti, gruppo spontaneo e informale nato con l’idea di non abbandonare la coltivazione della canapa in questi prati di mezza montagna. «Il mais lo dobbiamo recintare, altrimenti i cinghiali fanno razzia, ma la canapa no. Sai qual è il problema dell’agricoltura bellunese? Non ci sono abbastanza lupi. Qua è pieno di cinghiali e adesso devo recintare tutto», spiega uno dei membri del gruppo riferendosi alla polemica sul ritorno spontaneo di questo animale, che da molti, singoli come associazioni di categoria, è confuso per una problematica.

«IN VENETO SI COLTIVA QUASI esclusivamente mais, coltura per la quale i contadini prendono montagne di contributi. Ma questi finanziamenti stanno causando la desertificazione della Pianura Padana, i suoli sono sempre più sfruttati e resi meno fertili dalle monocolture. La canapa permetterebbe di fare la rotazione, tecnica con la quale si darebbe al terreno la possibilità di riposare e arricchirsi in carbonio. Anche nel bellunese c’è quasi solo mais, di cui la maggior parte è destinata alla zootecnia, infatti gli animali sono i principali competitori degli uomini per quanto riguarda il consumo di cereali. Ci rendiamo conto?».

UN ALTRO MEMBRO DEL GRUPPO Anonima Canapari Resilienti aggiunge: «Con ciò che resta dalla raccolta, il canapulo, si possono fare i mattoni. Da qualcosa che potrebbe essere considerato come uno scarto si ottiene un materiale straordinario, antimuffa e antibatterico naturale, grazie al quale stiamo ristrutturando varie case. Con questi mattoni naturali riusciamo a bloccare i ponti termici e la salubrità interna delle abitazioni migliora incredibilmente. Il potere igroscopico della canapa è unico».

NELLE ZONE DI MONTAGNA DELL’ALTO Veneto la canapicoltura, probabilmente risalente all’epoca romana, si è praticata fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando la filatura domestica si è ridotta progressivamente: non ci si poteva permettere l’impiego di tempi lunghi per ottenere prodotti non più competitivi e l’economia del settore agro-zootecnico divenne via via sempre più disgregata. È per questo che trovare, oggi, testimonianze che riportano in vita ricordi di quegli anni, è un vero e proprio un regalo.

«LENZUOLA 10, FEDERE 8, ASCIUGAMANI 10, tovaglie 2, fazzoletti 35 …». Giustina, bellunese di 92 anni, descrive così la sua dote di nozze, tutto tessuto rigorosamente con fibre di cànevo. «Non mi piaceva dormire sulle lenzuola di canapa. Erano dure e graffiavano la pelle», racconta la donna. Ma proprio per la sua resistenza agli strappi, la canapa continuò ad essere una delle fibre naturali più diffuse fino alla prima metà del secolo scorso. Ricorda Giustina: «Ogni casa aveva il proprio piccolo campo di canapa, perché era considerata un genere di prima necessità».

Con questa pianta, si faceva di tutto, dal cibo ai vestiti, ma anche corde e vele per la Serenissima, fiammiferi o impacchi per le bestie quando stavano male. Quel che è successo dopo, con l’arrivo del nylon americano e del proibizionismo lo si sa già e, purtroppo, assieme alla risorsa canapa anche un immenso patrimonio culturale si sta inesorabilmente perdendo.

A TESTIMONIARE COME LA COLTIVAZIONE della canapa facesse parte delle radici degli abitanti della Valbelluna, ci sta pensando Marco Calvi, dottorando all’Università Ca’ Foscari, che si occupa di dare voce a chi un tempo coltivava questa pianta, facendo un’enorme corsa contro il tempo con la triste consapevolezza che molte di queste fonti presto non ci saranno più. «Quando chiedo ai vecchi coltivatori di raccontare storie legate alla canapa, riscontro sempre un atteggiamento positivo, a volte un po’ malinconico. Mi sento chiedere come mai un giovane si interessi a queste cose», spiega Marco. «Diverse signore si emozionano nel rispolverare i ricordi legati alla loro gioventù. Mi è stato raccontato che quando in una famiglia una ragazza doveva sposarsi, veniva seminata canapa per la preparazione della dote. Quindi il campo di cànevo diventava un chiaro segnale di un matrimonio e non era raro che un rivale in amore bruciasse il raccolto pronto per la lavorazione, così da lasciare la ragazza sprovvista del materiale per la futura dote».

MA AL DI LA’ DI QUESTI RACCONTI, per il ricercatore lo studio della storia della canapa è una scoperta continua. «Può essere impiegata in molti settori, dall’alimentare alla cosmesi, all’edilizia, alla zootecnia, al tessile. Per non parlare della terapia del dolore. Molti pazienti ne hanno bisogno, ma siamo costretti a comprarla all’estero perché nel nostro Paese è illegale e la produzione è affidata solo allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze». A quanto pare per un agricoltore esordiente che voglia lanciarsi nella coltivazione della canapa le complessità da fronteggiare sono numerose e il rischio è quello di scoraggiarsi e rinunciare in partenza. Le difficoltà possono essere sia di tipo pratico – la carenza di mezzi meccanici per la raccolta – che burocratico. «Parlando con gli agricoltori mi sono reso conto che la mancanza di chiarezza sulla legge 242/2016 e gli atti di accusa contro la canapa influiscono sulla voglia di investire», spiega Calvi.

Elisa Colle ha incontrato gli stessi problemi: «Quando ho iniziato, nel 2016, ho voluto lavorare sul piano culturale, mi prendevo il tempo per parlare con la gente in occasione dei mercati. Ho cercato di far superare perplessità e false convinzioni, rinvigorite dalle esternazioni di Matteo Salvini del 2019 che ci ha fatto fare passi indietro. Fortunatamente, in questi anni ho riscontrato che nel bellunese attorno alla canapa gravita una sorta di atavico rispetto, perché la pianta è nei ricordi di molti».

ALLA FINE DELLA STAGIONE AGRICOLA, Elisa Colle potrà essere soddisfatta non solo di un raccolto sano e copioso, ma anche del prezioso contributo al recupero di una coltura quasi andata persa: «Quando le signore di questi borghi passeggiano accanto al mio campo, dicono che sentono il profumo che aveva la campagna quando erano piccole. Qua riescono a ritrovare gli scorci del bellunese autentico, cànevo e viti».