Si è concluso il ciclo estivo di «TecheTecheTé. Con tutti i sentimenti», trasmesso dopo il Tg1 delle otto di sera, a cura di Elisabetta Barduagni. È la fascia più delicata e conflittuale, quella che richiede ore di corrucciata riflessione nella stanza ovale dei programmatori. Come nella lotta per la pole position nella Formula uno, la cattura degli ascolti nell’avvio della serata è decisivo per il corpo a corpo quotidiano a suon di percentuali, di decimi di tele-corpi.

Diamo atto alla prima rete della Rai di aver colto i gusti di massa in un periodo mediaticamente distratto, privilegiando un programma di facile consumo e tuttavia di qualità. Ha vinto, infatti, la gara pre-serale con il 18,59% di share e più di tre milioni e mezzo di persone davanti al video. Preceduto negli anni passati da format omologhi («DaDaDa», «Supervarietà»), il titolo infine prescelto è il riconoscimento dell’immenso patrimonio sonoro ed audiovisivo di cui dispone l’azienda. Un tratto distintivo. Perché il servizio pubblico è organizzazione della memoria, tutela né statica né nostalgica della vastissima biblioteca del sapere di cui si può avvalere un broadcaster.

Grazie al meritorio passo impresso alle Teche da Barbara Scaramucci e oggi da Maria Pia Ammirati. La digitalizzazione dei materiali è assai avanzata e può divenire riferimento e traino per altri archivi disseminati sul territorio. La ricomposizione critica dei saperi è uno dei punti chiave della società della conoscenza, dove si svolge una simbolica ma non «incruenta» lotta di egemonia. Chi vincerà: il bene comune o i mercati con logiche finanziarie e solo secondariamente culturali? Proprio la trasmissione di Rai1 offre l’occasione di ragionarci, forse al di là delle intenzioni. Del resto, per fare una citazione nobile, la scuola dei «Cultural studies» capiva la società attraverso la lettura degli usi e delle gratificazioni.

E’ un programma di contaminazioni, giocate sul fertilissimo genere del varietà, che dà luogo ad un flusso nel quale si fondono confondendosi frammenti tratti da stagioni molto diverse. Attraverso associazioni linguistiche o meri rinvii emozionali, si fa comprendere come il materiale lontano e stagionato sia stato la traccia per tutto il resto. Di sovente il passato sovrasta il presente, vuoi per la caratura di taluni personaggi del cinema, della musica o dell’intrattenimento, vuoi – soprattutto – per l’evidente maggiore empatia con la cultura di massa. Era un’ azienda ancora monopolistica, antecedente all’esplosione del fenomeno dell’offerta commerciale. Il raffronto rischia di essere asimmetrico. Ma va detto che la Rai in bianco e nero sembrava avere una missione, vale a dire l’utilizzo contestuale in televisione (e alla radio) di figure e di sottogeneri centrali nello spettacolo. Un avamposto dell’industria culturale.

Il compleanno di Andrea Camilleri ci rammenta una bella stagione Insomma, come ci ammonisce Ugo Volli (2003), le entità semiotiche non sono materiali bensì costrutti psichici, culturali, dipendenti da complessi fattori.

Il segnale resta lo stesso, ma ben diverso è il significante che ciascuno vi riconosce. Via via l’omologazione commerciale ha edulcorato e indebolito la cifra originaria, sottraendo alla Rai, che pure dispose spesso di figure straordinarie, la forza tranquilla del primato.

Ecco, un programma volutamente leggero e di evasione ci racconta molto dei lati profondi dell’Italia, quelli che nei racconti più formali non traspare. A suo modo un caso di realismo, non solo di intrattenimento.