Sono tornati a casa i 6 orfani belgi (di cui 5 minori), figli di combattenti dello Stato islamico, detenuti nel campo profughi di Al-Hol, nel nord della Siria. Un ritorno alla normalità auspicato dalle ong e dalle organizzazioni governative che si occupano di dare assistenza medica e psicologica alle famiglie dei foreign fighters, partiti per aderire al delirio islamista ed oggi, a seguito della caduta del califfato, costretti in campi profughi dove le condizioni sanitarie mettono a rischio la sopravvivenza, in particolare dei minori.

Proprio il Belgio è fra i paesi più colpiti dal problema dei rimpatri, con il record di combattenti jihadisti per abitante (46 su un milione) partiti per raggiungere le fila del califfato. Sarebbero 160 i minori con passaporto belga, nati o cresciuti fra le fila dello Stato islamico, secondo la ong Child focus che ne chiede il rimpatrio immediato a causa delle scarse condizioni igieniche e per il rischio di malnutrizione a cui sono quotidianamente esposti. Un invito che non sempre trova il benestare delle autorità governative, che temono il ritorno dei genitori, considerati come soggetti pericolosi perché ancora radicalizzati. Per questo motivo Bernard De Vos, delegato belga ai diritti dell’infanzia per la federazione Vallonia-Bruxelles, aveva lanciato proprio dalle pagine del manifesto l’appello di «iniziare dal rimpatrio degli orfani della jihad».

Un appello accolto dal ministero degli esteri belga che nella giornata di venerdì ha rimpatriato 6 orfani di foreign fighters. È il caso di un ragazzo di 14 anni e di sua sorella di 10, costretti dai propri genitori nel 2014 a raggiungere lo Stato islamico in Siria. Il padre un combattente jihadista è morto nel 2015, mentre la madre nel 2017. Il rimpatrio è stato possibile grazie all’impegno dei nonni materni, che ora sperano nell’affido. Storia simile per altri tre fratelli, di 6, 8 e 14 anni, costretti dalla madre nel 2014 a raggiungere la Siria, nati da padri diversi. Uno di questi è morto per le ferite riportate durante un combattimento, del secondo si sono invece perse le tracce. Oggi i tre orfani sono stati presi in carico dai servizi sociali e saranno presto affidati a una famiglia d’accoglienza. Il terzo rimpatrio invece riguarda una ragazza di Liegi, oggi maggiorenne, costretta dal padre, quando ancora minorenne, a sposare un combattente dello Stato islamico. Secondo quanto riportato dai servizi sociali che l’hanno presa in carico, la ragazza avrebbe subito diverse violenze e presenterebbe gravi traumi psicologici.

Ma la questione dei rimpatri dei minori e delle proprie madri, in maggioranza detenute nel campo di Al-Hol in Siria, resta aperta. Uno scenario auspicato dalle autorità e dalle ong che si occupano del caso poiché «in tutti i casi di rimpatrio i percorsi di reintegrazione sono stati fino a ora sempre positivi» ha sottolineato Bernard De Vos, di rientro dalla Siria. Un atteggiamento aspramente criticato dalla destra xenofoba belga, che per voce di uno dei suoi massimi rappresentanti, l’ex sottosegretario all’asilo politico Theo Francken, del partito nazionalista fiammingo N-va, via twitter ha dichiarato «questi non sono dei bambini e non sono nemmeno orfani».