Mercoledì scorso è morto di coronavirus a 63 anni nell’ospedale di Cagliari Nabil Kheir, medico palestinese impegnato in prima fila contro la pandemia. È giusto che la memoria della sua vita così preziosa non vada perduta e che quelli che come me l’hanno conosciuto direttamente la raccontino.

Né io né Nabil abbiamo mai voluto stare in seconda fila o nelle retrovie, abbiamo sempre voluto stare in prima fila, nella lotta per la realizzazione dei diritti del popolo palestinese, la difesa dei diritti umani e anche nella lotta contro il coronavirus. Nabil era bravo, generoso, di grande umanità ed apprezzato medico igienista in Sardegna. Perciò abbiamo sempre pagato un caro prezzo e sempre a tutti i livelli.

Ma Nabil ha pagato di più, ha messo a repentaglio la sua esistenza ammalandosi di coronavirus, stando più di 14 giorni nei reparti di terapia intensiva e alla fine ha perduto anche la sua stessa vita. Ho conosciuto Nabil Kheir in Kuwait all’età di 14 anni, eravamo ragazzini appena adolescenti, giocavamo bene a pallone, io nella prima squadra del Club Nablus e lui nella squadra giovanile. Poi ci siamo incontrati di nuovo in Italia per studiare medicina, io arrivai nel 1972 e lui nel 1976 e non ci siamo mai persi di vista, da quegli anni non abbiamo mai perso le nostre tracce.

Nel 1982 la coppia Salman e Kheir, qualche mese prima dell’invasione israeliana al Libano e il compimento delle orrende stragi di Sabra e Shatila, formavano il direttivo nazionale e locale romano del Gups (Unione Generale degli Studenti Palestinesi in Italia), io a dirigere la sezione nazionale e lui quella della capitale per 3 anni.

Insieme abbiamo girato l’Italia per spiegare la questione palestinese e per far crescere la solidarietà italiana a favore della lotta del popolo palestinese all’autodeterminazione, del diritto al ritorno dei palestinesi alle loro case e alle loro terre dalle quali sono stati cacciati con la forza delle armi per dare spazio alla creazione dello Stato sionista d’Israele, per il diritto alla creazione del loro Stato libero e sovrano con Gerusalemme, sua capitale.

Non esistono palestinesi che non abbiano conosciuto Nabil Kheir. Con il suo permanente sorriso, la sua tuonante voce e il suo continuo dinamismo e lavoro a favore della sua causa, Nabil era nato a Beit Sahour da famiglia cristiana, era un militante e dirigente (la maggior parte di noi non ha mai conosciuto la sua fede religiosa) di Al Fatah, ne fu anche il segretario ed era diventato una bandiera e un punto di riferimento.

Nel 1985 si era trasferito a Cagliari per stare con la sua consorte e collega Rita, con la quale hanno cresciuto tre bei ragazzi e dove ha svolto fino a mercoledì 8 la sua attività professionale e politica nel direttivo della Comunità Palestinese Sarda.

Nel 2012, insieme a tutte le Comunità Palestinesi d’Europa, abbiamo costruito l’Unione Generale delle Comunità Palestinese d’Europa e fu eletto alla carica di vice-presidente. Una carica che ha ricoperto fino a ieri.

Nabil ha avuto un momento di smarrimento e di difficoltà che ha segnato il suo sorriso e il suo essere nel 2014, con la morte di sua figlia maggiore Yasmeen (24 anni) in un incidente ad Amman in Giordania. Nonostante il duro colpo ha continuato a lavorare e a lottare per la sua nobile causa della Palestina.

Di Nabil continueremo a ricordare il suo triste e bel sorriso, la sua forte e tuonante voce, la sua dura determinazione, la sua forza d’animo, colma del sacrificio e della speranza. Sarai sempre nei nostri cuori e nelle nostre lotte, per una Palestina libera, laica e democratica.

Ciao, riposa in pace caro fratello.

* Medico palestinese, presidente Comunità Palestinese di Roma e del Lazio

 

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«Per salvare la vita degli altri»

L’Ambasciata di Palestina in Italia «piange la morte di un fratello, Nabil Khair…che ha dato la propria vita per salvare la vita degli altri…un combattente della causa del suo popolo. Ci lascia in prossimità della Pasqua, festa della Resurrezione e della Pace. Che la pace sia con lui e con tutti noi». Abu Mazen, presidente dell’Anp, ha espresso il suo dolore alla famiglia.