Avevamo lasciato i Vanzina neanche due mesi fa con la loro madeleine vacanziera Sapore di te, più che un reboot di Sapore di mare, una specie di rielaborazione autoriale dei loro anni ’60 e ’80. Ritornano inflessibili con un film più specificamente comico e di genere, Un matrimonio da favola, scritto assieme a Edoardo Falcone, braccio destro di Max Bruno, prodotto da Fulvio e Federica Lucisano, divertente mischione di peggiori settimane della nostra vita, cinepanettoni pochadistici, sotto-muccinismo.

Il risultato, grazie a una serie di situazioni e di battute stracultistiche, tipo «Me darebbe una grattata alle palle che so’ occupato?», «E niente meteorismi!» – «Meteo… che?», e a una bella distribuzione degli attori, da Adriano Giannini a Giorgio Pasotti, da Max Tortora a Paola Minaccioni, che rubano davvero la scena a tutti pur in ruoli minori, è un bel ritorno alla sana comicità pesante dei tempi d’oro vanziniani e un buon rinnovamento del parco di facce e faccioni della nostra commedia.

Non che sia un film tutto riuscito e risolto, a cominciare dall’idea base del film, che vede Ricky Memphis, sempre al top, che chiama al suo matrimonio con una bella e ricca svizzera, Andrea Osvart, figlia del banchiere puttaniere Teco Celio, il Bombolo del commedia nordica, i suoi migliori amici dei tempi della maturità, Stefania Rocca, Adriano Gianni, Giorgio Pasotti e Emilio Solfrizzi, che non vede però da allora, e ci si domanda perché lo faccia visto che non ne sa più nulla – ma almeno qui siamo in una commedia dai ritmi più velocizzati, con gag e situazioni più fresche.

E anche se la costruzione della storia soffre di meccanismi spesso un po’ risaputi e, alla fine, anche farraginosi, i Vanzina e Falcone si scatenano con successo nella distribuzione dei personaggi e, soprattutto,delle loro compagne e compagni. Oltre che nella costruzione dei parenti di Memphis, la mamma cafona Roberta Fiorentini («Piacere, so’ Capozzi Iole»), e lo zio ladro e coatto Max Tortora («Me s’è accavallata ’na palla»), che domina letteralmente la scena come un Mario Brega o un Maurizio Mattioli (probabile che il ruolo sia stato scritto proprio per lui…). Ma è grandiosa anche Paola Minaccioni come avvocatessa matrimonialista, ovviamente una iena, ad ogni suo «lo sfonnamo» dedicati ai mariti traditori in sala parte un boato da parte delle femmine, nonché moglie di Emilio Solfrizzi, molto Alberto Bonucci, che ha un’amante bella e coattissima, una Ilaria Spada totale rivelazione.

Volgaruccia, ma perfetta(«Che dici, ci sposiamo a Grottaferata? Ci si è sposato anche coso der Grande Fratello»). È notevole poi Riccardo Rossi come marito rompicoglioni di Stefania Rocca, da sempre innamorata senza fortuna di Giorgio Pasotti, che dietro la scorza del militare di carriera nasconde a tutti il fatto di essere gay e di convivere con il barbuto Luca Angeletti. Anche Ricky Memphis è perfetto come sempre nel ruolo di bravo ragazzo bamboccione ma di cuore che se la vede con un futuro suocero perfido che non lo ama, e con lo zio ladro e coatto che lo metterà in imbarazzo («Non è che ci fai dormì coi filippini, no?»). Diciamo che in generale la costruzione dei personaggi è superiore alla costruzione della storia, che mostra qualche sfilacciatura, anche se fare scopare Adriano Giannini, il playboy del gruppo, con Andrea Osvart, futura moglie del suo miglior amico Ricky Memphis, ma nessuno dei due lo sapeva, due giorni prima delle nozze, è una trovata di grande audacia che forse avrebbe meritato uno sviluppo meno moralista.

Più vista la situazione di Emilio Solfrizzi che arriva a Zurigo, per il matrimonio, con l’amante Ilaria Spada e, proprio mentre sta per entrargli a letto lei in mutandine, gli piomba a sorpresa la moglie Paola Minaccioni ed è costretto a sistemare la ragazza in camera di Pasotti. E Pasotti, fingendo di non essere gay, si troverà in difficoltà sia per le reazioni della Spada, che cerca di far ingelosire Solfrizzi, sia per quelle della Rocca, che non sopporta più il marito, sia per l’arrivo in incognito del fidanzato barbuto. Sì. Troppe trame e doppie trame, e inceppamenti vari nella seconda parte.

Comunque alla fine si ride, anche se ci si poteva risparmiare l’ennesima variazione dell’animaletto, certo Pugacioff, un ermellino di peluche, che muore stecchito quando si siede su di lui soffocandolo Max Tortora, che riesce comunque a cavarsela con due buone battute. Ma, vi prego, basta con i gatti surgelati, i cagnetti strangolati o stritolati nelle commedie. Anche quelli finti.