Il vice presidente americano Mike Pence giunto in Giappone ha rinnovato la tesi di Washington: l’era della «pazienza strategica» – su cui si basava la dottrina Obama riguardo la Corea del Nord – è finita. Non si attende più che Kim Jong-un obbedisca prima o poi agli inviti internazionali alla cautela, ma si proverà a forzare la situazione. Insieme a questo postulato, Pence e il premier giapponese Shinzo Abe hanno chiesto alla Cina più dinamismo nella risoluzione della crisi, proprio mentre Trump si complimentava su Fox News con Pechino per l’«impegno» intrapreso nella risoluzione del disordine nord coreano.

La posizione disgiunta di Trump e Pence corrisponde a un doppio binario dell’amministrazione Usa, rappresentato da chi ritiene che la Cina stia effettivamente compiendo sforzi rilevanti e chi invece sostiene che Pechino non stia davvero agendo per «punire» la Corea del Nord, quanto per prendere tempo e rimettere in discussione la politica americana nell’area. Contemporaneamente alle affermazioni americane, non poteva mancare Pyongyang: alla Bbc il vice ministro degli esteri coreano ha fatto sapere che l’intenzione di Kim è quella di effettuare «un test missilistico alla settimana» (e secondo il Guardian gli Usa sarebbero pronti ad abbatterli uno a uno).

Quello coreano non è proprio un messaggio in linea con quanto ha chiesto ieri Pechino, ovvero una mediazione necessaria per evitare il peggio. E in questa situazione che appare di stallo completo, tra proclami, frenate e rischi concreti, è proprio la posizione di Pechino a destare maggiore interesse. La Cina, se si eccettua il continuo richiamo alla necessità di cooperare a una soluzione pacifica e tornare al dialogo, ribadita ieri dal ministro degli esteri Wang Yi, non è stata chiarissima nelle proprie intenzioni, almeno ufficialmente. Sotto traccia se ne possono intuire la cause. Pechino sta cercando di muovere i propri canali preferenziali con Pyongyang per portare alla ragione Kim Jong-un. A questo proposito sarebbero smentite le voci che vorrebbero un funzionario di alto grado già a Pyongyang. Sembra infatti che l’addetto alla politica coreana di Pechino, un dirigente di lungo corso ed esperienza come Wu Dawei, la scorsa settimana in visita a Seul, abbia chiesto un incontro con la leadership nord coreana, non ottenendo al momento risposta.

Ma c’è da credere che la diplomazia messa in atto da Xi sia volta a ottimizzare i risultati nel loro complesso. La Cina infatti punta a una soluzione che sia capace di tenere insieme diversi fattori: in primo luogo Pechino spinge per una nuova conferenza regionale che inchiodi la Corea del Nord all’abbandono del programma nucleare in tempi e modi che consentano, almeno adesso, un onorevole ripiego da parte di Kim. In Asia il concetto di «faccia» è fondamentale e Pechino pur strigliando Pyongyang non vuole umiliare il giovane leader coreano. Analogamente la richiesta di una conferenza, magari una ripresa dei «dialoghi a sei» interrotti nel 2009, porterebbe a una ridiscussione anche del Thaad, il sistema missilistico difensivo coreano che gli Usa hanno cominciato ad installare e che Pechino vede come una minaccia nei propri confronti.

Come sottolineato dal quotidiano Global Times, cartina di tornasole dei ragionamenti ai vertici del Partito comunista, nei confronti di Pyongyang, oltre al bastone è necessario usare anche la carota. Quindi, alle minacce di nuove e pesanti sanzioni e all’allineamento, di fatto, di Cina e Usa sulla denuclearizzazione della Corea del Nord, serve garantire anche sicurezza e aiuti al regime di Kim. Almeno fino a quando Pechino, per quanto non in rapporti limpidissimi con la leadership di Pyongyang, non ritenga necessaria una mossa più audace, come un regime change, di cui però forse oggi non sarebbe in grado di assicurare il successo.

Nel mentre si attende con ansia la seconda data sensibile indicata a inizio crisi. Il 25 aprile è l’anniversario della nascita dell’esercito nord coreano e contemporaneamente nei pressi della penisola arriverebbe anche la portaerei Uss Carl Vinson, partita l’8 aprile da Singapore e ancora lontana dall’obiettivo dichiarato. Le immagini rilevate dal sito web della Marina Usa, mostrerebbero la portaerei nelle acque indonesiane, a migliaia di chilometri dalla Corea del Nord.