Scrivo queste note di ritorno da Mosca, e la prima cosa che mi colpisce è l’enorme divario tra ciò che stanno vedendo gl’italiani (e gli europei insieme a tutto il resto del mondo occidentale) e quello che vedono i russi. Non è solo questione di quantità. È che qui (quasi) non si vedono le squadre armate dei dimostranti della piazza Maidan e dintorni. Non si vedono i poliziotti bruciare vivi. Non si vedono le armi delle squadre – palesemente bene organizzate – di assalitori. Non si vedono i lanciafiamme e le bombe molotov degli assalitori. Non si vedono le grandi catapulte che lanciano sugli schieramenti delle forze speciali antisommossa bombe incendiarie in quantità e di qualità tale che non è possibile pensare improvvisate.

Qui, nella civile Italia democratica, dove tutto il mainstream freme di sdegno contro i Notav «violenti», si descrivono le squadracce fasciste che ormai dominano la protesta di Kiev come vittime, come coloro che «muoiono per l’Europa». Anche a Mosca ci sono quelli che li definiscono «liberali», «democratici». Sono i «figli del capitano Grant» (grant in inglese vuol dire prebenda). Io vado, come al solito, controcorrente. E dico: Dio ci salvi da questi “nuovi europei”. Presto ne avremo notizia anche dalle nostre parti, e saranno guai per tutti. Ma questo sarà il dopo.

Colpiscono la cecità e l’ignoranza – quasi peggio della menzogna – di gran parte dei commenti. Che pure vengono sparse a larghe mani. È il «popolo ucraino» quello della Maidan? Ecco, questa è la prima domanda da farsi. Invece tutti, qui, senza eccezione, hanno già deciso che il popolo ucraino è quello e non ce n’è altro. Povera Ucraina che ormai se ne va in pezzi! E poveri ucraini che saranno mandati allo sbaraglio, a massacrarsi tra di loro sul pianerottolo di casa nostra.

Allora viene subito un’altra domanda da porsi: chi ha eletto, a grande maggioranza, Viktor Janukovic presidente dell’Ucraina? Dove sono andati a finire i suoi elettori? Hanno tutti cambiato idea? Si sono accorti solo negli ultimi mesi che era un corrotto e un dittatore? Certo, un pasticcione indifendibile, che ora sarà cacciato tra gli applausi di Bruxelles e di Washington). Ma quanti di questi commentatori nostrani hanno ricordato che l’Ucraina non è solo la parte sud-occidentale, che è quella che in gran parte si chiamava Galizia, e che apparteneva al territorio polacco? Hanno dimenticato tutti che c’è un’altra Ucraina, quella dell’est e del nord, quella industriale delle grandi città di Kharkov, di Dnipropetrovsk, per esempio, quella che parla ancora adesso il russo e che ha una storia di milioni di famiglie intrecciate alla Russia.

Certo, si direbbe (se i commentatori di Repubblica, del Corsera , perfino del Fatto Quotidiano avessero letto i libri di storia) che fu «colpa» di Stalin, che promosse il Patto Molotov-Von Ribbentrop, se la Galizia venne incorporata nell’Ucraina Sovietica. Vero, verissimo. Come fu vero che le formazioni militari di Stepan Bandera combatterono al fianco dei nazisti. E in piazza Maidan sono proprio i «banderovzy» a guidare la danza.
Ma allora che cosa proponiamo all’Ucraina? Di tornare alle frontiere del 1943? Cedendo la Galizia alla Polonia? E quanti sarebbero gli ucraini d’accordo con questa idea? E poi che ne sarebbe della frontiera tra la Lituania e la Polonia? Perché sarà bene ricordare che, in questa eventualità, oltre un terzo dell’attuale Lituania, inclusa la capitale Vilnius, dovrebbe tornare in Polonia. Ma l’Europa di Altiero Spinelli non nacque proprio, anche, per avviare una fase pacifica di cooperazione che cancellasse tutte le frontiere? Certo – dicono i Ponzio Pilato che abbondano in questa Europa dell’austerità, che sta mettendo in ginocchio tutto il sud-Europa, a cominciare dalla Grecia – è il popolo ucraino che deve decidere da che parte stare: se con la Russia o con l’Europa.

Ma è solo questa l’alternativa? C’è anche – ma chissà perché nessuno ne parla – l’ipotesi di una Ucraina indipendente e sovrana, che sta in buoni rapporti con gli uni e con gli altri, che ne trae vantaggio per sé, contribuendo alla pace e alla sicurezza comune europea, senza farsi assorbire, per esempio, nella Nato.
Ecco, a me pare che stia qui la risposta – una delle risposte – a quello che sta accadendo in queste ore a Kiev e, ormai, in diverse altre province dell’ovest ucraino. L’Ue ha forzato la situazione in modi e forme inaccettabili per una politica di buon vicinato. E non è una ipotesi. Ben 34 leader europei si sono affaccendati in questi mesi sulle piazze ucraine, per premere su Yanukovic e per incitare (e foraggiare) le opposizioni. Si attende ora il commissario all’allargamento Fuele, poi la signora Ashton, poi una delegazione parlamentare europea. Cosa offrono? Un pesantissimo prestito del Fondo Monetario Internazionale che legherà l’Ucraina al carro dei mercati finanziari dell’Occidente. È aiuto? Io lo chiamerei ingerenza negli affari interni di un paese vicino.
Invece – due pesi e due misure – si condanna il cattivissimo Putin, che ha concesso 15 miliardi di dollari di prestito a tassi d’interesse ridicolmente più bassi di quelli dei mercati occidentali e, in più, regala due miliardi di dollari all’anno di sconti sul prezzo dell’energia. Anche questa è ingerenza? Probabilmente. Ma costa meno. E poi ci si dovrebbe chiedere: ma perché una tale accelerazione da parte europea? Non sanno che l’Ucraina è divisa? Perché forzare? Chi si vuole portare al potere a Kiev? Un altro gruppo di oligarchi (come fu fatto in Russia nel 1991) che chiederanno protezione alle banche svizzere e tedesche, offrendo in cambio l’Ucraina alla Nato? E chi è il pazzo, o l’irresponsabile, che pensa che la Russia di Putin accetterà, arrendendosi, a un gigantesco avvicinamento dell’alleanza militare ostile alla propria capitale?
Qualcuno punta a trasformare l’Ucraina in un mostruoso casus belli al centro dell’Europa: quello che si delinea è la rottura di tutti gli equilibri della sicurezza europea collettiva. È l’inizio di una rottura strategica tra Russia ed Europa. Agli ucraini non sarà dato di decidere pacificamente. Sarà un passaggio violento, e scorrerà il sangue. È stata l’Europa – promettendo sogni che non potrà soddisfare (e i primi a saperlo siamo proprio noi) – a volerlo.