Abbiamo visto troppe volte il conflitto d’interessi e la questione Tv agitati come ballon d’essai tra le forze politiche e da una sinistra sull’argomento sempre rinunciataria, per credere oggi che qualcuno voglia fare sul serio.

Ma il fatto che i grillini abbiano rispolverato dopo lustri un tema che fu della sinistra, prima che D’Alema, Veltroni, Bertinotti, Prodi e Renzi lo seppellissero come un oggetto vintage del tutto inutile alla crescita della democrazia, ci sembra comunque una buona notizia. Vedremo se agli annunci, anche qui, seguiranno fatti concreti.

Comunque non ci vuole molto per capire che se la metà, o quasi, di un sistema televisivo, se la gran parte della raccolta pubblicitaria, se la fetta più importante dell’editoria, sono in mano ad un unico proprietario, un paese in fatto di pluralismo non gode certo di buona salute.

Se a sinistra in molti l’hanno dimenticato, compreso l’attuale premier Gentiloni, autore da ministro del secondo governo Prodi di un interessante progetto di legge (passato peraltro alla Camera) che metteva in sicurezza la Rai affidandola ad una fondazione indipendente, e ridisegnava i limiti della raccolta pubblicitaria e della proprietà delle tv, ben venga allora a ricordarcelo, e a ricordarlo alla pubblica opinione, il M5S.

E proprio per stanare il Pd noi proporremmo ai penta stellati di riesumare quel testo, insieme a quello del senatore Passigli sul conflitto d’interessi approvato al Senato nel lontano ’95 per poi essere subito dimenticato, per mettere alla prova il Pd: sarebbe interessante sentire le ragioni di un eventuale rifiuto, visto che nonostante l’avvento del digitale il duopolio Rai-Mediaset è rimasto quasi intatto, toccato solo in minima parte dallo sviluppo di Sky e de La 7 (in ogni caso il 70% del sistema è nelle mani dei due principali proprietari).

Berlusconi naturalmente, dopo avere perpetrato l’abuso dell’etere più clamoroso ed arrogante delle democrazie occidentali, con la complicità di Craxi e dei socialisti prima e la tolleranza dell’Ulivo e della sinistra dopo, grida more solito all’esproprio proletario. Ma se Di Maio e compagni facessero sul serio sarebbe veramente una bella notizia per la democrazia del nostro paese. Altro che esproprio!

Però temiamo che anche questa volta si finisca in un stucchevole gioco di posizione, in dichiarazioni che durano lo spazio di una trattativa, o di una campagna elettorale, poi archiviate per lasciare il posto alle prassi ben note di una realpolitik incolore e arrendevole. Speriamo di sbagliarci.