Il Bahrain infiamma, l’Iraq media
Iran/Arabia saudita Gli al Khalifa arrestano una cellula accusandola di lavorare per Teheran. Baghdad si offre come mediatore nel timore che il caos freni la lotta all'Isis. Riyadh cerca di mettere una pezza e guarda alla Russia
Iran/Arabia saudita Gli al Khalifa arrestano una cellula accusandola di lavorare per Teheran. Baghdad si offre come mediatore nel timore che il caos freni la lotta all'Isis. Riyadh cerca di mettere una pezza e guarda alla Russia
Prima ha represso le proteste sciite con la violenza, poi ha sospeso le relazioni diplomatiche con l’Iran. Infine ha scomodato la lotta al terrorismo. Il Bahrain, braccio destro saudita, segue le orme dell’alleato: ieri, secondo l’agenzia stampa di Stato Bna, la polizia bahreinita ha arrestato una presunta cellula terroristica, impegnata nella progettazione di attacchi terroristici e «aiutata dalle cosiddette Guardie Rivoluzionarie iraniane e dall’organizzazione terroristica di Hezbollah».
Secondo la Bna, uno dei sospettati Ali Ahmed Fakhrawi sarebbe andato in Libano per incontrare Nasrallah, leader di Hezbollah, e ricevere dalle sue mani 20mila dollari per attività terroristiche in Bahrain insieme al gruppo ribattezzato “Quroob al-Basta”. Non una novità: due mesi fa erano state arrestate 47 persone, sempre dietro l’accusa di essere agenti iraniani.
Così prosegue lo scontro tra Arabia saudita (e lo stuolo di alleati del Golfo) e Iran: si tira in ballo il terrorismo regionale, già usato in passato da Riyadh che accusò Teheran di attacchi in Bahrain per spingere la maggioranza sciita a ribellarsi alla monarchia sunnita degli al Khalifa.
Il clima non è quello necessario a ridurre le tensioni: mentre il Gibuti e il Qatar interrompono le relazioni con l’Iran e la Giordania convoca ne l’ambasciatore in merito agli attacchi alle ambasciate saudite, ieri il ministro degli Esteri iraniano Zarif, durante una conferenza stampa con il collega iracheno al-Jaafari, ha invitato caldamente l’avversario a «smettere di creare tensioni e di gettare benzina sul fuoco».
Proprio l’Iraq ieri si è proposto come negoziatore della crisi: Baghdad teme più degli altri l’esplosione definitiva dello scontro tra sunniti e sciiti, in un periodo in cui il governo sciita è impegnato nelle controffensive contro lo Stato Islamico nella provincia di Anbar insieme a unità sunnite. Il premier iracheno al-Abadi ha inviato il suo ministro degli Esteri a Teheran per offrire mediazione, mentre in casa resiste alle richieste pressanti delle potenti milizie sciite legate all’Iran perché chiuda l’ambasciata saudita, riaperta solo pochi giorni fa dopo 25 anni.
Il caos regionale non sembra però evolvere in una concreta destabilizzazione: l’Iran sta limitando alle parole la risposta alla sfida lanciata dai Saud uccidendo il religioso al-Nimr. La Repubblica Islamica sa di non poter perdere l’occasione che gli si presenta con il negoziato siriano di Ginevra, dove giocherà un ruolo centrale. Al contrario, Riyadh – che in quel negoziato ha perso terreno – ora cerca di mettere una pezza e si affanna a dire che le tensioni con l’Iran non danneggeranno quel dialogo.
Cerca di mettere una pezza anche nella recessione economica interna e nelle relazioni con le super potenze, in particolare con quella che sta gestendo la crisi mediorientale: in un’intervista alla Cnbc, il ministro degli Esteri saudita al-Juberi ha dichiarato che Riyadh punta a rafforzare i rapporti economici e di investimento con la Russia.
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