Arriva stamattina nell’aula del senato il disegno di legge costituzionale che porta il numero 813, anagramma e rimpiazzo del ben noto articolo 138 che scolpisce in Costituzione le regole per la revisione costituzionale. È la chiave con la quale il governo spera di aprire lo scrigno magico delle riforme istituzionali: prevede una piccola commissione bicamerale di 42 senatori e deputati (il «comitato») che in tempi rapidi e contingentati (6 mesi) dovrà riscrivere completamente la Costituzione, dal bicameralismo alla forma di stato, dalla forma di governo alla (buon ultima) legge elettorale. La speranza dell’esecutivo, ripetuta ieri dal ministro Quagliariello, è portare a casa il doppio sì di camera e senato prima della pausa estiva, condizione necessaria perché il comitato possa finalmente entrare nel merito delle riforme entro la fine dell’anno. Occorrerebbe però che la camera concludesse l’esame della legge in due o tre settimane, mentre al senato ne saranno alla fine servite tra le quattro e le cinque (dipende da come andranno i lavori in aula). A Montecitorio, in più, il regolamento impedisce la procedure d’urgenza che dimezza i tempi del dibattito. Il che equivale a dire che le opposizioni (Sel e 5 Stelle) hanno la possibilità di rallentare sul serio la corsa del governo.

Corsa che andrà comunque registrata, visto che anche il servizio studi del senato ha riscontrato parecchie incongruenze nel disegno di legge governativo in transito dalla commissione all’aula. Nel dossier che accompagna il ddl 813 si evidenziano alcuni aspetti problematici, innanzitutto la mancata chiarezza sui criteri di formazione del comitato dei 40 più 2 (due presidenti) che lascia prevedere difficoltà e litigi tra le forze politiche già a partire dalla fase di nascita della nuova «bicameralina». La cui «morte» potrebbe essere ugualmente complicata, posto che la legge – avverte il servizio studi – ha dimenticato di prevedere cosa accadrà nel caso in cui il termine dei 18 mesi entro il quale le riforme andrebbero fatte non sia rispettato: si ritornerà alla competenza delle commissioni affari costituzionali?

Possono sembrare dettagli secondari, ma è adesso nell’aula del senato che andranno chiariti. Per la legge costituzionale. infatti. occorrono due coppie di letture conformi: correggere un «baco» in corsa sarà sempre possibile, ma al prezzo di far crollare il «cronoprogramma» del governo Letta.

Governo che nel frattempo si sta facendo accompagnare dal lavoro dei «saggi» (anche in questo caso 42, 35 effettivi e 7 redigenti) che ogni lunedì continuano a discutere delle riforme, gettando le basi per una relazione finale che orienterà le iniziative di legge costituzionale dell’esecutivo (date ormai per scontate). Ieri, alla quinta riunione, i professori sono approdati all’argomento più atteso: la forma di governo. E, nel resoconto che ne ha fatto per i giornalisti a fine seduta il ministro Quagliariello, si sono divisi più o meno a metà tra sostenitori del semipresidenzialismo e difensori del modello parlamentare «razionalizzato». Si aspettano interventi di segno diverso nella prossima riunione, intanto Quagliariello è stato felice di poter dire che tutti gli oratori (ai quali sono stati concessi più dei tradizionali cinque minuti) «hanno condiviso una diagnosi di particolare debolezza della nostra forma di governo, e della necessità che sia riformata». Non c’è stata «nessuna divisione traumatica», secondo il ministro, anche perché «nessuno ha criminalizzato né il presidenzialismo né la forma parlamentare» (meno male). «Volano le colombe», insomma, ma alla commissione dei saggi non sono affidati compiti di pura accademia. Devono buttare giù la relazione finale che, stando così le cose, rischia di lasciare nel vago proprio l’argomento più atteso, la forma di governo. A domanda il ministro risponde che non è detto che finisca così, perché «si procederà con una relazione di maggioranza e potranno esserci delle opinioni dissenzienti».

Un aiuto a far pendere la bilancia verso la soluzione chiaramente preferita dal governo delle larghe intese, il semipresidenzialismo, potrebbe arrivare dalla «consultazione» online lanciata ieri da Quagliariello. Dove ai chissà quanto informati cittadini si chiede se gradirebbero votare per eleggere direttamente il presidente della Repubblica. Ieri pomeriggio, primo giorno, ci sono stati quattromila accessi al questionario. All’altezza, per intendersi, dei sondaggi di Grillo.