L’undicesima Duchessa di Devonshire, la penultima, era una delle sorelle Mitford, aristocratiche inglesi eccentriche quanto intelligenti, cugine di Winston Churchill per via materna. Diana, bellissima e soprattutto antisemita come suo marito, Oswald Mosley, fondatore del partito fascista inglese; Jessica, comunista in America dove era espatriata; Unity, intima del Führer e poi suicida per disperazione politica (non morì subito però). Nancy Mitford, la più anziana, era una scrittrice spiritosa, innegabilmente superficiale, incantevole nella conversazione – la conobbi bene da Harold Acton a Firenze.
La Duchessa era anche lei bella, amica di artisti come Lucien Freud, scrittrice di un certo talento, ottima curatrice di Chatsworth, il grandioso palazzo di famiglia del consorte. Chatsworth the House, uno dei suoi ultimi libri, del 1988, descrive con grazia e conoscenza la magnifica dimora, i suoi infiniti capolavori, i giardini, i personaggi che la crearono e che, come lei stessa, dedicarono molti anni a trasformarla e ad arricchirla. Deborah, Debo per gli amici, dedica particolare attenzione ad uno dei più interessanti proprietari del Palazzo, il sesto Duca, William Spencer Compton (1790-1858), all’apice della ricchezza e del potere politico della Britannia vittoriana. Il Bachelor Duke (ricordo la monografia di James Lees-Milne dedicata a questo curioso individuo che non si sposò mai e del quale Milne non riuscì, nonostante minuziose indagini, a scoprire le inclinazioni erotiche) ci interessa soprattutto per la sua dedizione alla superba residenza e alle sue collezioni artistiche. Nel suo libro già citato la Duchessa descrive come fosse stato l’eterno single ad edificare la Sculpture Gallery per la quale acquistò con calma e discernimento una delle più originali raccolte di marmi, fra cui spiccano alcuni capolavori di Antonio Canova.
Nel 1818 il giovane Duca si recò appositamente a Parigi per comprare il celebre ritratto di Madame Mère che tante volte è stato definito scioccamente una copia dell’antica effige di Agrippina – una cosa è arrivare al punto di essere influenzato da un mirabile ricordo e un’altra eseguire una banale trascrizione. Madame Mère non fu affatto contenta del destino toccato al suo magnifico ritratto, venduto da un proprietario che tale non era, e toccato ad un acquirente che non aveva diritto alcuno a diventarlo.
Il sesto Duca era figlio di Georgiana Spencer, bellissima e capricciosa, giocatrice accanita che qualche volta fece tremare il banchiere di famiglia, rassegnata ad accettare il suo curioso matrimonio che divenne uno dei più famosi menages à trois dell’epoca. Suo marito voleva avere un figlio che non arrivava e così, nell’attesa, si consolò con un’amante graziosissima e intelligente, Elizabeth Foster, che invocando la pace familiare divenne anche l’amante della Duchessa. Il destino offriva altre possibilità. Georgiana morì giovane ed Elizabeth sposò il vedovo. Vedova a sua volta la Duchessa ancora bella e non povera preferì trasferirsi a Roma dove fu uno dei poli intellettuali dell’epoca e dove rimase a lungo diventando intima di Antonio Canova.
Non appena il figlio acquisito giunse a Roma volle anche lui conoscere il sommo scultore, di cui ben presto fu intrinseco oltre che ammiratore e cliente. È noto che gli inglesi furono subito ammaliati dal cigno di Possagno, come uomo e come artista. A Roma il Duca divenne anche intimo di Madame Mère, ascoltando paziente tutte le sue lamentele e ammirando la sua grande dignità, il suo incedere regale, quasi miracoloso in una donna ormai ottantenne. Lo amò anche lei, come lo amò lo Zar Nicola che inviò in dono enormi pezzi di malachite a Chatsworth.
Il Duca si interessò del magnifico busto di Napoleone che Canova aveva tenuto per sé modificandolo – anzi migliorando le fattezze che aveva impresso nella colossale statua dell’Imperatore, donata poi al Duca di Wellington da Luigi XVIII e ancora oggi a Apsley House. Il busto di Napoleone a casa di Canova era il solo del tutto autografo; alla morte dell’autore fu venduto dal fratellastro ed erede a Laby Abercorn e da questa lasciato all’amato Duca di Devonshire. Ancora non sazio il mecenate acquistò uno dei primi esemplari dell’Ebe, quello che il Conte Cicognara considerava il migliore ed era già in Inghilterra da anni nella raccolta di Lord Cawdor.
Devonshire non si interessava solo di Canova: nei suoi molti viaggi in continente acquistò opere scelte di Thorwaldsen, John Gibson, Rudolph Schadow, Thomas Campbell, Joseph Gott e di italiani come Rinaldo Rinaldi, l’abilissimo Raffaele Monti e Lorenzo Bartolini. Mancava ancora, forse, un capolavoro assoluto del suo artista più amato. Così, nel maggio 1819, ordinò un marmo di grandi dimensioni ma non volle indicare alcun soggetto al Canova preferendo lasciarlo libero di seguire il suo estro. Fu questo uno dei motivi per cui le cose progredirono rapidamente. Il modello dell’Endimione era terminato nell’agosto dello stesso 1819 e il marmo squisitamente rifinito nel settembre del 1822. Il Duca inviò subito la cifra pattuita non senza osservare, da gran signore qual era, come il costo fosse al di sotto del suo valore.
Ma a Canova restava solo un mese di vita e l’Endimione non giunse a destinazione che molti mesi dopo, nell’estate del 1823, tra le ansie del giovane ammiratore in attesa spasmodica del marmo ancora in mezzo ai pericoli del mare.