Il problema non è, come si era sospettato nelle prime due edizioni, se i contenuti siano autentici o no, se i partecipanti siano spontanei o recitino a copione. Il problema de Il collegio, reality in onda sua Rai2 ogni martedì in prima serata, è il programma in se stesso. Ispirato a un format andato in onda dal 2003 al 2006 su Channel 4, Il collegio immerge una ventina di adolescenti fra i 13 e i 17 anni in un collegio con metodi di mezzo secolo fa. Nella prima edizione ci si rifaceva al 1961, nella seconda al ’62, quest’anno il riferimento è il’68 e si sussurra che si stia pensando di ambientare la prossima nel periodo fascista. Quando in trasmissioni così si maneggiano questioni complesse come la storia, l’educazione o le rivolte di massa, il rischio di manipolazione è altissimo. Per essere onesti, prima bisognerebbe mettere l’avvertenza: «Qualunque riferimento a fatti e persone relmente esistiti è casuale», dicitura paraculante, ma che almeno non finge di spacciare verità assolute. Nella fattispecie, Il collegio ha tre gravi colpe: è ambiguo nell’intento, mistificante sui fatti, puzza di reazionario. Ecco alcuni esempi.

NELLA PRIMA PUNTATA il preside dice: «In questo ’68 circolano idee che minano e minacciano alla base il concetto di famiglia, scuola e autorità. Qui non si contesta. Qui si studia e si obbedisce». E certo, abbiamo tutti nostalgia della scuola autoritaria e punitiva, della famiglia come una gabbia soprattutto per le donne, del classismo, dei lavoratori trattati come servitori.
A un certo punto ai ragazzi viene mostrato un telegiornale dell’epoca in cui si annuncia l’omicidio di Martin Luther King. La voce fuori campo, che è di Giancarlo Magalli, dice: «L’uomo non sarà perfetto, ma di certo la dottrina di King negli anni a venire ha dato i suoi frutti». E così con due parole abbiamo sminuito Luther King, ridotto le lotte degli afroamericani a una dottrina e liquidato le sanguinanti conquiste in semplici frutti. Ora, fosse venuto in mente a qualcuno di fare un reality ispirato, che so, al metodo Montessori o alle lezioni del maestro Manzi, che la Rai conosce bene, anziché propinarci professori arcigni e amanti delle nozionismo, forse certi asinacci della classe, ma anche a casa, avrebbero capito che coniugare un congiuntivo non è una vergogna, conoscere dove stanno l’est e l’ovest può servire, leggere bene non è da sfigati. Invece hanno scelto di mostrarci da una parte l’arroganza e l’ignoranza di alcuni, dall’altra gli effetti della cara, dura, vecchia disciplina. Bravi, sette più.