Il Bangladesh celebra tra scontri e sangue il 50mo compleanno. Almeno 4 morti e decine e decine di feriti è infatti il bilancio, provvisorio, del primo dei due giorni di visita nel Paese del primo ministro indiano Narendra Modi, in occasione delle celebrazioni per i 50 anni di indipendenza conquistata nel 1971 anche grazie all’aiuto dell’esercito indiano contro quello del Pakistan.

MODI È STATO ACCOLTO ieri all’aeroporto della capitale Dacca dalla prima ministra bangladese Sheikh Hasina, figlia di Sheikh Mujibur Rahman, l’uomo-simbolo dell’indipendenza del Paese asiatico, ucciso nell’agosto del 1975 in un golpe militare. Sheikh Hasina ha riservato la guardia d’onore a Modi, la cui presenza ha però innescato forti proteste in molte città.

Già nei giorni scorsi si sono registrate manifestazioni, in particolare a Dacca, dove alcuni gruppi di studenti di sinistra – Bangladesh Student Federation, Bangladesh Juba Odhikar Parishad (l’Alleanza del Bangladesh per i diritti dei giovani), Alleanza degli studenti progressisti – hanno manifestato contro l’imminente arrivo di Modi, accusato per il suo etno-nazionalismo, autoritarismo e comunitarismo, contrari ai valori secolari invocati a suo tempo da “Bangabandhu” Sheikh Mujib, il padre della nazione.

Nei giorni scorsi gli scontri sono avvenuti soprattutto all’università di Dacca e nel quartiere di Motijheel, quando attivisti di sinistra e giornalisti sono stati picchiati dai militanti della Chhatra League, l’organizzazione studentesca costola giovanile del partito al potere, la Lega Awami guidata dalla prima ministro Sheikh Hasina.

GLI SCONTRI PIÙ VIOLENTI sono avvenuti però ieri, tra polizia e manifestanti. Nella località di Hathazari, a una ventina di chilometri da Chattogram (o Chittagong), città portuale da sei milioni di abitanti nel sud-est del Paese, i militanti del partito islamista radicale Hefazat-e-Islam, perlopiù studenti della locale madrasa (scuola coranica), hanno protestato duramente contro la visita di Modi. Ai loro occhi, Modi fomenta i sentimenti anti-islamici, discrimina i fedeli di Allah e nel 2002, quando era primo ministro dello Stato indiano del Gujarat, è stato responsabile della morte di centinaia di musulmani. Secondo Meer Idris, uno dei segretari dell’Hefazat, gruppo radicale che esercita la sua influenza con proteste muscolari e con richieste politiche come la legge anti-blasfemia, tra i deceduti ci sarebbero tre studenti della madrasa Hathazari – Shirajul Islam, Robiul Hasan e Jamil Hasa – e un passante. Ma almeno altri 7 studenti sarebbero ricoverati in condizioni critiche.

LA POLIZIA avrebbe «aperto il fuoco senza che gli studenti li provocassero». Secondo la versione delle autorità locali, i dimostranti avrebbero invece assaltato la sede della polizia e i poliziotti avrebbe reagito sparando pallottole di gomma e lacrimogeni. Secondo un giornale locale, ci sarebbe anche un altro morto, uno studente della madrasa Qawmi, nel distretto di Brahmanbaria, un centinaio di chilometri a est di Dacca. Anche lui caduto negli scontri tra la polizia e gli studenti dell’Hefazat-e-Islam.
Ieri le proteste più partecipate sono avvenute dopo la preghiera del venerdì nella moschea Baitul Mukarram, a Dacca, quando gli attivisti di Hefazat, dopo aver alzato e battuto le scarpe in segno di disprezzo verso Narendra Modi, si sono scontrati con la polizia e con i militanti della Lega governativa Awami. Mattoni divelti, lacrimogeni, pallottole di gomma, decine di feriti finiti all’ospedale.
Le manifestazioni non hanno impedito a Sheikh Hasina e Narenda Modi di celebrare l’anniversario e consolidare una partnership che, secondo Modi, fa parte «della politica di buon vicinato» e si fonda sul rispetto per «la leadership dinamica della prima ministro Sheikh Hasina».

UN DINAMISMO, accusano le organizzazioni per i diritti umani, che si è fatto vera e propria autocrazia elettorale: detenzioni arbitrarie, sparizioni, omicidi extragiudiziali, torture, censure e repressione muscolare di ogni forma di dissenso, anche grazie a leggi liberticide come quel Digital Security Act che il 4 maggio 2020 ha condotto in carcere lo scrittore Mushtaq Ahmed. Morto il 25 febbraio 2021 in cella per «cause ignote».