Che Festival sarà questo Cannes numero 67, con finale anticipato di un giorno per le elezioni europee? Non lo sappiamo ancora, si possono solo fare ipotesi, lasciarsi tentare dai nomi che non si conoscono, scommettere su quelli che amiamo. La grande notizia di questa selezione è la presenza in gara di Jean Luc Godard, a cui abbiamo voluto dedicare questo numero speciale, cercando nell’immaginario a venire le tracce della sua magnifica irriverenza.

Adieu au langage, in concorso, tradici anni dopo Eloge de l’amour (Film socialisme era al Certain regard), si annuncia come un’opera che posa lo sguardo su ciò che è il cinema nel XXI secolo, utilizzandone le tecnologie contemporanee tra cui il 3D.

Sulle tracce di un cane, e delle sue peregrinazioni dalla città alla campagna, si intrecciano i fili di una relazione amorosa tra una donna sposata e un uomo solo.

E poi? L’Europa (o una parte di essa) gioca la parte – non a caso, quasi a voler rafforzare la propria immagine – da protagonista, in una selezione ufficiale basata su molte (troppe?) certezze, con tanta Francia, come d’abitudine, anche quando non ufficialmente dichiarata, e sempre meno America. Non vedremo Eastwood, Inarritu, Woody Allen e molti altri, l’industria d’oltreoceano preferisce darsi diversi obiettivi, considerando anche gli alti costi di un’anteprima europea. C’è poi qualche zona eccentrica, pensiamo al film italiano Le Meraviglie di una regista giovane, brava e all’opera seconda come Alice Rohrwacher.

Non si può comunque dire che Frémeaux sia spericolato nelle scelte, al contrario la sua selezione sembra dosata al millimetro. Fedele a un modello di cinema d’autore coniato in gran parte, anno dopo anno, anche da Cannes ma che quando i film «attesi» non ci sono o non arrivano- sembra incapace di aprirsi a qualsiasi tentazione «off».

Difatti un film «scomodo» davvero come Welcome to New York, il caso Strauss-Kahn ripercorso da Abel Ferrara, non ha trovato posto sulla Croisette, nonostante fosse tra i titoli più attesi e desiderati da mezzo mondo. Il Festival di Cannes, poi, non è neanche un festival di ricerca, per fare un esempio ha messo «fuori legge» i documentari molto tempo – da quando Moore vinse la Palma d’oro – Sacro Gra in concorso nemmeno ci sarebbe arrivato. E un grande maestro riconosciuto del cinema mondiale come Fred Wiseman col suo National Gallery «torna», sempre più sorprendente, ma alla Quinzaine.

Neppure le sezioni parallele, aprono al cinema del crossover – lo scorso anno la presenza di Lav Diaz (al Certain regard) era stata un vero e proprio avvenimento – e anzi anche le opere prime e seconde della Semaine de la critique rispecchiano spesso un gusto da «aria dei tempi» fin troppo smaccato.

Non essere un festival «onnivoro» come è diventato quello di Toronto, può essere anche un punto di qualità. Ma il rischio, se non si fa attenzione, è quello di chiudersi in se stessi. L’immaginario per respirare invece ha sempre bisogno di orizzonti aperti.