Fuggono da guerra e miseria i tanti profughi disperati in balìa del mare. Vorrà dire qualcosa o no il fatto che l’Occidente colto, raffinato ed economico, quello delle Borse e delle Banche, sia in gran parte responsabile di quelle guerre e di quella miseria? Oppure vogliamo mettere la testa sotto la sabbia?

Guardate la geografia dei luoghi da dove arrivano in fuga: Nigeria, Mali, Niger, Siria, Somalia, Libia, Palestina (declinata solo dai campi profughi), Iraq…ecc. ecc. Non c’è una sola realtà che non veda la costante povertà della quale siamo corresponsabili – come per il Delta del Niger, una regione della Nigeria grande come l’Italia, ridotta ad una fogna di scorie e bitumi «grazie» ai nostri pozzi petroliferi e a quelli delle altre multinazionali del petrolio; senza dimenticare che questi Paesi africani e mediorientali dove le popolazioni sono ridotte in miseria, in realtà sono ricchissimi di materie prime per le quali non c’è blocco navale, anzi.

Ma questo è poco. Ognuno di quei paesi è in preda alle scellerate avanzate dell’Isis, ma grazie al terreno fertile di macerie provocato dalle nostre imprese belliche. È stata la Nato a trasformare la Libia in un cumulo di rovine senza istituzioni, dove ora si fronteggiano in armi almeno tre governi, in un territorio diventato santuario dello jihadismo per tutto il Medio Oriente. O vogliamo parlare delle magnifiche sorti e progressive della Somalia? O l’uso occidental-strumentale dei jihadisti in chiave anti-Assad per poi scoprire che hanno preso piede in due terzi dell’Iraq, lì dove l’occupazione Usa – come riconosce lo stesso Obama – ha permesso l’avvento dello Stato islamico.

Fuggono da queste guerre e da questa miseria. Noi siamo co-responsabili. E invece l’Unione europea dichiara che «non può fare nulla» o peggio annuncia il rafforzamento delle operazioni di polizia a mare rappresentate da Frontex e Triton. Mentre si annunciano operazioni militari «mirate» e come, in una barzelletta, il ministro degli interni Alfano annuncia che stiamo (l’Onu? la Ue?) per «bombardare i barconi» – prima coi droni che, ahimé producono solo affondamenti collaterali – poi, forse, peggio: per stroncare gli scafisti, con missioni militari e raid aerei di polizia internazionale. Ma parlare degli scafisti, che certo profittano della grande disperazione dei profughi, vuole semplicemente dire non fare nulla subito per accogliere i profughi, perché è chiaro che nulla potrà fermarli viste le immutate condizioni dalle quali fuggono. E anzi la nuova guerra che si annuncia li spingerà a nuove fughe.

Mentre si straparla di blocco navale militare. Dimenticando il massacro del 1997 della Kater I Rades – 108 albanesi affogati, donne, bambi e vecchi – speronata da una nave militare italiana nel 1997. E si ciancia su tanti campi di concentramento in Africa per decidere lì «chi è davvero clandestino e chi ha bisogno d’aiuto». Ma la conta dei morti dei cimiteri marini – a tanto si è ridotto il «Breviario Mediterraneo, scambio di civiltà» del grande Predrag Matvejevic – dice che solo l’attivazione di un soccorso immediato, con corridoi umanitari e con l’istituzione di una missione di salvataggio europea, un Mare Nostrum d’Europa, può essere la soluzione. Quanto costa? Mille volte meno di quello che ci costano le spese militari, per le quali l’Italia spende 70 milioni di euro al giorno. Al giorno.

E invece, se di fronte a questo vuoto e disastro politico, facessimo del 25 aprile – attanagliato quest’anno del 70esimo da ritualità e conflitti – anche il 25 aprile della liberazione dei migranti dai muri della Fortezza Europa, dalle nuove guerre e miserie, dalla condizione «clandestina» e dalle stragi a mare alle quali sono condannati? Se per ricordare e rivitalizzare la memoria della Resistenza dessimo la parola – e i contenuti sulle nuove oppressioni – ai sopravvissuti dei naufragi e ai tanti immigrati che fanno crescere il nostro Pil e la nostra demografia? Così facendo apriremmo un «corridoio» democratico. Perché sono loro che rappresentano un’ultima occasione di trasformazione democratica e umana di questa Unione europea che, se non li accoglie, è un organismo destinato quantomeno ad implodere.