È passato esattamente un mese dalla prima protesta, quel 6 giugno che aveva bloccato molti locali in tutta Italia, e ieri Ikea ci è “ricascata”: fumata nera per le trattative con i sindacati, e si prospetta quindi un nuovo sciopero, coordinato stavolta a livello nazionale. È la prima volta nella storia italiana di Ikea, e potrebbe portare alla chiusura dei 21 ipermercati dell’arredamento. Lo stop è stato indetto da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, per l’11 luglio, dopo che il tavolo con la multinazionale svedese è saltato.

Ikea ha sempre avuto ottimi rapporti con i sindacati, e dalla sua presenza in Italia non si ricordano infatti scioperi: il primo, articolato per territori, è appunto quello di un mese fa, indetto dopo che il gruppo dei mobili da montare aveva deciso improvvisamente la disdetta unilaterale dell’integrativo. In un contesto, peraltro, che l’aveva poco tempo prima visto uscire dal contratto nazionale di Confcommercio, gettando quindi ancor di più “in confusione” la controparte.

Ieri, a Bologna, dopo che azienda e sindacati erano tornati al tavolo per l’integrativo, una nuova rottura: «Ikea insiste con pervicacia a voler mettere mano alle buste paga dei lavoratori, trasformando un elemento fisso del salario in elemento legato a indicatori variabili», ha spiegato Giuliana Mesina, della Filcams Cgil.

«Se questo non bastasse – prosegue la sindacalista – ancora una volta ci hanno proposto di penalizzare i lavoratori, riducendo sensibilmente la percentuale di maggiorazione per il lavoro domenicale e festivo, affermando addirittura di essere ispirati a criteri di equità, valore che fatichiamo a scorgere, se perseguito con tagli lineari a danno soprattutto dei lavoratori più fragili».

Il problema è che i lavoratori Ikea sono spesso in part time, e quindi sperano proprio nella maggiorazione domenicale e festiva per rimpinguare il proprio salario: l’annunciato taglio delle maggiorazioni, «ispirato a criteri di equità» secondo l’azienda, certamente li penalizzerebbe.

«Non solo le domeniche aiutano a raggiungere retribuzioni sostenibili – spiega ancora Mesina della Filcams – ma i lavoratori ne fanno davvero tante, sacrificando la loro vita familiare e sociale. Se davvero Ikea è convinta di essere una delle aziende dove si lavora meglio, è il momento di dimostrarlo: perché i lavoratori da tempo, purtroppo, non la pensano più esattamente così».

Sabato prossimo, quindi, in occasione dello sciopero saranno organizzati presidi davanti ai negozi, con «sorprese per i clienti», annuncia il sindacato, «perché vorremmo far conoscere le ragioni delle seimila persone che in tutta Italia li accompagnano da anni nei loro acquisti».

Da parte di Ikea è arrivata una risposta piuttosto piccata all’annuncio dello sciopero, ma si spera che le posizioni – oggi ritenute «molto distanti» da entrambe le parti – si possano riavvicinare nei prossimi due incontri previsti comunque entro la fine di luglio.

«L’intransigenza del sindacato non contribuisce a una prospettiva positiva del confronto», dice l’azienda in una nota. Ikea, prosegue, «si è seduta al tavolo delle trattative per ribadire proposte concrete per garantire a tutti i propri collaboratori un buon posto di lavoro. Purtroppo la decisione di sospendere il dialogo e indire uno sciopero nazionale va nella direzione opposta rispetto a quella della trattativa e del confronto».

L’azienda spiega di aver confermato quattro proposte: «un sistema di valorizzazione della parte di retribuzione variabile»; «un innovativo sistema di gestione dei turni»; per «rendere più equi i trattamenti per il lavoro domenicale e festivo che oggi presentano differenze sia da negozio a negozio, che all’interno dello stesso punto vendita (tra vecchi e nuovi assunti), accompagnate da un sistema che riconosca una percentuale di maggiorazione crescente legata al numero di presenze»; per «migliorare l’attuale sistema di welfare ed affrontare congiuntamente le tematiche attinenti la sicurezza sul lavoro».