Riparte sotto le due torri Valvoline, gruppo fondato negli ottanta per allargare i confini del fumetto. La mostra «Valvoline Story» presso la Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna racconta quella irripetibile parentesi. A presentarla al manifesto, Igor Tuveri, membro fondatore e patron di Coconino Press, casa editrice che cura il catalogo dell’esposizione e le ristampe dei volumi Valvoline di Igort, Mattotti & Kramsky, Carpinteri, Jori e Brolli.

Qual è il tuo ricordo più vivo di quegli anni ottanta in cui Valvoline ha vissuto il suo momento di maggior fibrillazione creativa?

Valvoline è stato un lampo. Una manciata di anni dal momento dell’incontro fra me, Giorgio Carpinteri e Lorenzo Mattotti. Dal 1979 sino al 1984. Quello è stato il cuore creativo in cui ci si era ripromessi di attraversare piste non battute, di aprire i limiti in cui il fumetto era rinchiuso. Un linguaggio ricchissimo che quasi nessuno, così ci pareva, utilizzava veramente.

Ognuno degli autori del collettivo, nel tempo, ha preso strade diverse: illustrazione, design, pittura, tv… trovare un punto di sintesi in un medium «2D» come il fumetto non dev’essere stato uno scherzo…

Il fumetto richiede una versatilità che altri medium non richiedono. Ogni autore è al tempo stesso sceneggiatore, dialoghista, regista, direttore della fotografia, costumista eccetera. È un linguaggio che unisce parola e segno. A noi è parso ovvio aprire alle cose che amavamo. Abbiamo disegnato di tutto e su qualunque supporto. I nostri disegni sono diventati moda, design, sculture, dipinti, tessuti, arazzi, musica. Una libertà che è stata figlia di un’epoca intelligente e disinvolta. Gli anni che hanno favorito la nascita di Valvoline sono stati anni in cui, dopo il fallimento politico degli anni di piombo, si sentiva l’ebbrezza di una felicità e realizzazione possibili attraverso la creatività.

Pur nell’ambito del fumetto d’avanguardia, del milieu bolognese e di avventure editoriali comuni come AlterAlter» o «Frigidaire», l’impressione è che i rapporti con Pazienza e soci fossero freddini.

Con Paz viaggiavamo, litigavamo, disegnavamo insieme. Poi, chiaramente, si era tutti in competizione: quando Andrea incontrò Carpinteri, bravo e giovanissimo, gli disse: «mi piace come disegni le mani». Non era stato un incontro, ma una specie di sfida all’ok corral. Ci siamo guardati, ammirati, sfidati a duello. Passavamo ore a parlare di cosa disegnare. Una volta mi sorprese chiedendo a me e Carpinteri cosa scrivere su una parete in una storia di Zanardi. Controllava perfino le scritte sui muri. Ma la scintilla scoccò con Massimo Mattioli, che nel 1984 fu invitato a entrare in Valvoline.

bombay-cover

Al di là delle ricorrenze, come mai la ristampa organica dei Valvoline Motorcomics si è fatta attendere tanto a lungo?

È andata così, di ritorno dal salone del libro di Torino del 2012 ho telefonato a Brolli e gli ho ricordato «Sai, l’anno prossimo è il trentennale di Valvoline, secondo te vale la pena di fare qualcosa o lasciamo perdere?». Se Daniele mi avesse invitato a lasciar perdere non ci sarebbe stata nessuna riedizione e nessun ragionamento a latere. Poi, man mano, ho chiamato tutti gli altri e abbiamo pensato di fare un numero nuovo su «Linus». La cosa si è evoluta sino a giungere alla pubblicazione dei volumi, alcuni dei quali non avevano mai visto la luce. Poi, la mostra, e Valvoline Story, il volume di «dietro le quinte» che racconta il collettivo. Credo che ognuno di noi stia cominciando a comprendere solo adesso cosa abbiamo realizzato.

Raccontaci la situazione del fumetto dall’ottica particolare di un autore scisso fra Italia e Francia.

Sono positivo, credo che sia una grande stagione. Dobbiamo solo fornire al lettore storie forti, vissute e raccontate in presa diretta. Vivere cose vere, uscire dal pre-fabbricato in cui indugia molto fumetto attuale. Perché quando si scimmiotta l’esistenza, quando le cose narrate sono pura maniera, io lettore me ne accorgo e mi annoio. Ma l’attenzione ora è grande, ed è possibile raccontare cose ricche, dolorose, importanti. Esperienze nel senso lato del termine.

All’inizio del nuovo millennio hai fondato Coconino. Come vedi la scena del fumetto italiano «dall’altra parte della barricata», come editore?

 

Come editore, ho il privilegio di uno sguardo dall’alto, che non necessariamente è quello giusto. A volte, libri meravigliosi non sono premiati dal mercato, e magari altri meno meritevoli godono di numerose ristampe. La difficoltà è quella di convincere il lettore che un fumetto è, banalmente, un libro. Che esistono libri belli e libri brutti, indipendentemente dal fatto che siano raccontati con la penna o la matita. Sembra una cosa da niente, ma se riuscissimo a superare questa diffidenza saremmo in un mercato più sano. Come in Francia, che senza idealizzare, ha un mercato molto, molto più vasto, di dieci volte più grande del nostro.