«Basta con gli armamenti, torniamo a finanziare la sanità pubblica. Il mondo vi guarda, l’Italia è un modello anche per altri Paesi». Da Philadelphia, dove dal 2016 è tornato ad occuparsi di trapianti alla Thomas Jefferson University , Ignazio Marino, già presidente della commissione Sanità del Senato ed ex sindaco di Roma, guarda con attenzione l’evolversi dell’emergenza Coronavirus in Italia. Nominato Executive Vice President della Thomas Jefferson e di Jefferson Health, una struttura non profit che forma medici nei suoi 14 ospedali, recentemente ha avviato un corso internazionale di laurea in Medicina con l’Università del Sacro Cuore e il Policlinico Gemelli il cui titolo sarà riconosciuto da tutti i Paesi Ue, dall’Inghilterra e dagli Usa. «È un passo innovativo che non ha precedenti».

Ignazio Marino Foto LaPresse

Il sistema sanitario della Lombardia, forse il migliore d’Italia, è al collasso. Si è fatto un’idea del perché? Secondo lei si poteva evitare?

Prevenire una pandemia causata da un virus che sino a pochi mesi fa non infettava l’uomo è impossibile. L’unica strategia veramente efficace è quella di prevenire il più possibile il contatto umano. Il Coronavirus non può moltiplicarsi senza “l’ospite”, in questo caso l’uomo. E se non si moltiplica scompare. Certo sarebbe utile avere un vaccino ogni volta che si presenta una nuova infezione virale, ma non siamo ancora giunti a questo livello di tecnologia. Mi spiego meglio. Qui alla Thomas Jefferson University uno dei nostri migliori scienziati, Matthias Schnell, dirige un laboratorio che, anche grazie a un finanziamento di circa 50 milioni di dollari, sta cercando da qualche anno di elaborare una metodologia che possa essere utilizzata per realizzare prontamente un vaccino per ogni nuovo agente patogeno che dovesse comparire. In pratica, si tratta di un vettore nel quale inserire gli antigeni di un microrganismo e stimolare il nostro sistema immunitario che produrrà i necessari anticorpi per difenderci. Se, come spero, il prof. Schnell riuscirà nel suo intento nei prossimi anni potremo fronteggiare rapidamente qualunque nuova infezione virale.

Le misure sanitarie prese nel decreto governativo le sembrano sufficienti?

Qualche giorno fa ho parlato con il Ministro Speranza e il Vice Ministro Sileri (al quale auguro una pronta guarigione). Con una certa amarezza abbiamo pensato che questa terribile pandemia ha riportato al centro della riflessione governativa l’importanza della sanità pubblica. Non voglio ritornare su quanto si è già detto e scritto ma spero che, in futuro, governi e parlamenti terranno presente quanto sia importante investire in sanità e ricerca. Mi limito ad un esempio. Ogni anno il 15% dei nuovi medici specialisti italiani espatria, per un totale di oltre 10 mila nell’ultimo decennio. Per ciascuno di loro l’Italia ha speso circa 500 mila euro per formarli e poi – da moltissimi anni – crea le condizioni di impiego peggiori e li spinge a scegliere di lavorare in altri Paesi che non hanno investito un euro nella loro formazione. Quando presiedevo la Commissione Sanità del Senato non ho mai sentito nessuno che affermasse che non si debba investire di più in sanità e ricerca, salvo poi tagliare e proteggere invece nelle varie finanziarie i soldi per gli F-35. Anche il governo attuale ha confermato l’impegno di spesa per gli F-35. Proprio la settimana scorsa il Ministero della Difesa italiano ha inviato in Nevada alcuni tra i nostri migliori piloti militari per prendere parte ad una esercitazione con gli F-35, il cui costo unitario supera i 100 milioni di dollari, quando non abbiamo un numero adeguato di letti in rianimazione.

I neolaureati non dovranno più fare l’esame di abilitazione, cosa ne pensa?
Se sostenuti e guidati da tutor più anziani i giovani medici possano essere una risorsa incredibile. Trovarsi fianco a fianco con giovani entusiasti del loro lavoro e resistenti alla fatica non può che far bene a tutti. E poi per i neolaureati sarà un’esperienza indimenticabile, che li farà diventare medici maggiormente empatici per tutta la sua vita.

Ritiene necessario estendere il più possibile il tampone?
Non sono un infettivologo né un epidemiologo. Come chirurgo devo confessare che vorrei sapere e conoscere le condizioni di un paziente, ma non sono i chirurghi che devono fare le scelte e prendere le decisioni strategiche in questo momento.

A Roma si discute della riapertura dell’ospedale Forlanini. Cosa ne pensa?
Ho ascoltato il Prof. Martelli, un chirurgo eccellente e uno straordinario lavoratore che ha salvato migliaia di pazienti. Tuttavia, quando visitai il Forlanini, già chiuso, diversi anni fa, trovai una struttura in abbandono. La vera questione è come sia stato possibile ridurre in quello stato una struttura monumentale al centro di Roma. Ma la rinuncia a valorizzare il patrimonio immobiliare pubblico mi sembra sia un elemento piuttosto diffuso nelle amministrazioni italiane.

Come sono viste l’Italia e l’Europa dalla comunità medico scientifica degli Usa, in questo frangente?
Gli scienziati e i medici a livello internazionale hanno molta stima dei loro colleghi italiani. Negli Usa molti pensano che dovremmo adottare al più presto le stesse misure adottate in Italia in queste ultime settimane. Pochi giorni fa The Economist, che spesso non ha risparmiato critiche ai nostri governi, ha suggerito di utilizzare la risposta della sanità pubblica italiana come esempio per gli altri Paesi europei.