Verso le nove e trenta di mattina, nel campo profughi vicino al confine greco-macedone un’autoambulanza dell’ospedale di Policastro, villaggio a pochi chilometri da Idomeni, ha portato via un ragazzo ventenne che aveva tentato di scavalcare di notte il filo spinato che divide la frontiera. Respinto con forza dalla polizia macedone, il giovane tremante dalla febbre era in un tale stato di shock che non si reggeva in piedi.

Ha piovuto incessantemente per tutta la notte sopra questo minuscolo paese al confine con la Macedonia. «Qui – ci ha spiegato Bakar Baloch portavoce dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) – il 34% dei rifugiati sono bambini. L’altra notte anche una semplice pioggia è diventata una crisi difficile da superare». Il governatore della regione, Apostolos Tzitzikostas, ha chiesto ad Atene di dichiarare lo stato d’emergenza, questa situazione «non può andare avanti per molto», ha dichiarato durante la sua visita al campo.

Camminiamo con difficoltà tra le tende che ormai conservano il loro colore solo nella parte superiore, il resto è immerso nel fango. I bambini giocano tra i binari e i campi dove il grano è ancora verde. Tutto è precario, tutto è improvvisato, anche la procedura per ottenere i documenti, sia dalla parte greca che da quella macedone, lascia molto a desiderare. La polizia greca ha allestito due punti per sbrigare le pratiche: uno vicino all’ingresso del campo quasi a ridosso della ferrovia e un altro proprio a due metri dal cancello macedone «decorato» di filo spinato. Alcuni ragazzi siriani in gruppo raccontano che la data di nascita, sopra il foglio di registrazione che ricevono una volta sbarcati nelle isole greche e che dovrebbe essere conforme con i loro documenti originali, a volte viene scritta a mano ingenerando non pochi equivoci tra la polizia greca e quella macedone. Mohamed, un ragazzo siriano di 36 anni, esausto dopo quattro giorni di fila, deve ricominciare tutto da capo. Ma i problemi ci sono anche per chi sul documento ha la data scritta al computer. Un minore di Fallah sul documento originale è nato nel 2005 ma sul documento di registrazione risulta nato nel 2007. Tutto questo viene aggravato dall’incomprensione linguistica.

 

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La polizia greca ci ha informato che fino al pomeriggio di ieri sono state nemmeno un centinaio le persone che sono riuscite a superare il confine e proseguire il viaggio lungo la rotta balcanica. La Macedonia consente un numero limitato di passaggi sul suo territorio dalla Grecia, tanti quanti ne autorizza la vicina Serbia dalla Macedonia.

«La maggior parte dei profughi nel campo sono siriani e iracheni, c’è un numero effimero di afghani e pachistani», spiega Vicky Markolefa, responsabile della comunicazione per Medici senza frontiere (Msf). Questi ultimi, poiché alla frontiera macedone passano solo migranti di nazionalità siriana e irachena, bruciano i documenti originali. Al di là della frontiera oltre il filo spinato lucido, nuovo di zecca, oltre alle uniformi macedoni si vedono anche forze speciali slovene, della Repubblica ceca e serbe. Energumeni super addestrati che dovrebbero contrastare persone sfinite dal lungo viaggio. Come Ahmed, 27 anni di Kobane. Laureato in giurisprudenza, ha impiegato ventiquattro ore di cammino per arrivare al campo di Idomeni, è qui da dieci giorni con le sue tre sorelle e i suoi due fratelli. Dice che lui non proverà proprio a passare il confine di notte, non perché sia stanco e sofferente, ma per via delle sue sorelle. «Non siamo più persone ma numeri», considera allontanandosi con la sua sigaretta dal sapore amaro e forte.

«Abbiamo superato di gran lunga le capacità del campo profughi. Attualmente ci sono circa 10.500 persone – prosegue Markolefa – ma resistiamo, ogni giorno aumentano le tende e la richiesta di cibo, senza contare gli articoli di prima necessità soprattutto per i più piccoli. Fortunatamente fino ad ora non abbiamo avuto casi di malati gravi, solo raffreddore e febbre soprattutto per quanto riguarda gli anziani e i più piccoli, ma questo è dovuto anche alle condizioni del tempo».

Nel campo affollato e caotico si vedono giovani volontari, quasi tutti greci, che corrono per aiutare da una parte all’altra. La lunga fila interminabile per ricevere i pasti ha un ordine che viene mantenuto dagli stessi abitanti di questo disperato angolo del mondo. «Speriamo che l’Unione europea faccia qualcosa al più presto – aggiunge Markolefa – perché abbiamo superato il limite già da tempo e non possiamo andare avanti ancora per molto. Ogni arrivo crea emergenza». Oltre ai giovani, ieri pomeriggio, una dozzina di abitanti di Idomeni ha portato viveri e vestiti, tra loro Jani e Maria, due signori anziani che hanno distribuito pasta e dolci per i più piccoli. Cosi come le sei signore che da Salonicco si sono messe in marcia a bordo di tre utilitarie e hanno portato al campo vestiti, pannolini, articoli di prima necessità per le donne con bimbi molto piccoli.