In attesa che sia accertata l’autenticità del messaggio con il quale Abu Bark al Baghdadi incita i suoi sostenitori a continuare la lotta, il primo presunto segno di vita da un anno a questa parte dato dal califfo dello Stato islamico ha riportato all’attenzione due cose: l’Isis e la Siria. Non avrà più il vasto territorio tra Iraq e Siria che ha controllato per circa tre anni ma lo Stato islamico, come organizzazione, continua ad operare e ad attirare miliziani da diversi paesi, ne sanno qualcosa i soldati siriani che devono combatterli ogni giorno nel sud e a Deir Zour, nell’est del paese. La guerra continua anche se non fa più notizia e i vari attori che dal 2011 recitano sul palcoscenico siriano ridefiniscono di volta in volta le loro strategie. Non è ben chiaro cosa emergerà dai contatti, intensi come non mai in questi giorni, tra Usa e Russia sulla Siria. Ieri il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov e la sua controparte Usa Mike Pompeo si sono sentiti al telefono mentre il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolai Patrushev, dopo avere incontrato a Ginevra il suo omologo americano John Bolton, ha assicurato che la Russia studierà «tutte le proposte e i desideri formulati» dagli americani. Washington, a nome di Israele, insiste affinché Mosca costringa l’Iran ad uscire dalla Siria. La Russia alleata di Damasco non può imporre a Tehran di farsi da parte ma un compromesso le due parti intendono trovarlo e non solo sulla questione iraniana.
Sul tavolo ora c’è l’annunciata offensiva dell’esercito siriano per cacciare via le formazioni qaediste e jihadiste dal governatorato di Idlib, nel nord-ovest del paese. È l’ultima area di una certa importanza fuori dal controllo di Damasco e dove negli ultimi due anni sono stati indirizzati migliaia di combattenti islamisti cacciati via da Aleppo, la periferia orientale e meridionale di Damasco, il sud della Siria. Le truppe di Damasco e le milizie lealiste siriane e quelle filo-iraniane in questi giorni si sono ammassate con mezzi e uomini nella parte nord della regione di Hama, a sud di Aleppo e a nord-est di Latakia. E alcune centinaia di civili hanno già abbandonato le loro case cercando rifugio nelle aree tornate sotto l’autorità del governo. come Abu Dhuhur. Una nuova vittoria militare governativa non è un dubbio ma la zona di Idlib di fatto è sotto occupazione turca e secondo gli accordi tripartiti raggiunti da Mosca, Ankara e Tehran, deve rimanere in parte sotto controllo turco. L’offensiva dovrebbe perciò coinvolgere solo le aree che non rientrano nella zona “ritagliata” per i turchi.
Il quadro però è molto più complesso. Damasco rispetta gli alleati russi e iraniani ma ora che si sente più forte non ha alcuna intenzione di accettare l’occupazione militare turca di una parte della Siria. Cosa farà la Turchia quando l’esercito siriano inizierà le sue operazioni militari per liberare Idlib? Andrà alla con la Siria? L’analista Hamidi Abdallah esclude che Ankara scelga la strada di una avventura militare costosa e pericolosa. «La guerra potrebbe estendersi oltre i confini turchi – ha scritto Abdallah sul quotidiano libanese al Bina – inoltre in questa fase il presidente (turco) Erdogan sta affrontando una serie di crisi politiche ed economiche interne e i suoi rapporti con i tradizionali alleati in Occidente, in particolare gli Stati Uniti, sono molto tesi».
Il buon senso però potrebbe non bastare. In Turchia i media pro-governativi puntano sull’orgoglio nazionale e gridano al “complotto” iraniano. Secondo il quotidiano Yeni Safak il Pkk e le Ypg curde ricevono la protezione di Tehran. Erdogan perciò potrebbe essere tentato dal far sentire la sua voce a siriani e iraniani. Mohammad Kharroub del quotidiano giordano al-Rai, ricordava ieri che Ankara fa come crede a Idlib. Si era impegnata con russi e iraniani a mettere fine alla presenza dei qaedisti di Tahrir ash-Sham ma non ha mosso un passo in quella direzione. E ora è impegnata a costituire a Idlib un “esercito” di mercenari che avrà il nome di Fronte di liberazione nazionale.